Nelle scorse settimane, il monologo di Geppi Cucciari ad “Amici” ha scatenato reazioni forti sui social suscitando una riflessione sul valore della libertà di pensiero, della dignità del dissenso e sul bisogno di un dialogo civile. “Dite la vostra, senza paura, anche soltanto per affermare che potete farlo, che ne avete diritto”. Con queste parole ha chiuso il suo discorso, invitando i giovani a votare per il Referendum dell’8 e 9 giugno, sottolineando l’importanza della partecipazione democratica come principio civico.
Parole che, nella loro semplicità, toccano il cuore della democrazia: l’esercizio consapevole della cittadinanza e il valore della parola libera.
Il discorso, pur non schierandosi politicamente, ha generato forti reazioni sui social. Un utente su X (ex Twitter) ha insultato pesantemente Cucciari, definendola con un epiteto volgare. La comica ha risposto pubblicamente, sottolineando l’aggressività e il tono vergognoso del commento ricevuto. Insomma, la risposta da una parte del pubblico è stata un’ondata di insulti volgari e violenti, il che ci costringe a chiederci: in che stato si trova oggi la libertà di espressione? E cosa intendiamo davvero con “opinione”? A tal proposito, nel suo celebre saggio Sulla libertà, John Stuart Mill ci ricorda che:
La peculiarità della libertà d’opinione è che il suo valore non dipende dal fatto che l’opinione sia vera o falsa, ma dal fatto che sia discussa liberamente
In una democrazia sana, le idee devono potersi scontrare, ma senza mai degenerare in violenza verbale o disumanizzazione dell’altro.
Il caso Cucciari, in sé, non è né nuovo né isolato. È solo l’ennesimo segnale di un clima sempre più polarizzato, in cui il dissenso non è più un confronto tra visioni diverse, ma un’aggressione identitaria. Esprimere un’opinione – che sia in TV, in un’aula universitaria o sui social – diventa un atto coraggioso non per la sua forza argomentativa, ma per il rischio di essere travolti dal livore. La libertà di parola non significa solo il diritto di dire ciò che pensiamo. Significa anche – e soprattutto – il dovere di riconoscere lo stesso diritto a chi la pensa diversamente. Hannah Arendt ci ha insegnato che la pluralità è la condizione essenziale della vita politica:
Solo dove gli uomini vivono insieme nella pluralità possono esistere la libertà e la politica
Chi ha insultato Geppi non ha esercitato un diritto: ha negato la possibilità stessa del dialogo. Eppure, anche questa reazione, per quanto detestabile, ci offre uno spunto importante: ci interroga sul ruolo che ciascuno di noi ha nel proteggere lo spazio pubblico come luogo di confronto, non di sopraffazione. Dobbiamo, oggi più che mai, difendere non solo il diritto di parlare, ma anche il dovere di ascoltare. Non serve essere d’accordo con lei, né con chi la critica. Ma è nostro compito – come cittadini e come esseri umani – riconoscere la dignità dell’opinione altrui, anche quando ci disturba. Perché, come scriveva Voltaire (o almeno come gli fu attribuito):
non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo.
Insomma, anche quando il rumore sovrasta il pensiero, per avere una vera democrazia, occorre mantenere viva la possibilità di parlare, e soprattutto di ascoltare, con rispetto.
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