Attualità

Gaza: l’interminabile tragedia umana raccontata attraverso gli occhi di Motaz Azaiza

Da un punto di vista onomatopeico, basterebbe un click per sostituire una costellazione autostradale di “bla bla bla“. Allo stesso modo, un profilo Instagram potrebbe forse asfaltare intere galassie di parole, dibattiti pubblici, trasmissioni televisive e radiofoniche con contenuti calendarizzati. Un po’ come la retorica che resterebbe in laico silenzio (o perlomeno, dovrebbe) mentre il pollice scorre i post IG di Motaz Azaiza, che dall’ormai lontano 7 ottobre 2023 documenta le atrocità, le ingiustizie e le barbarie subite dal popolo palestinese all’interno della Striscia di Gaza.

L’impegno di Motaz Azaiza per mantenere alta l’attenzione

Egli è un ragazzo palestinese, prima ancora che fotografo, che ci fa vedere ogni giorno la tragedia direttamente attraverso gli occhi di chi la subisce. Cosa non scontata visto che i reporter internazionali non possono entrare facilmente in Palestina (“Palestina”, chissà che tra centinaia di anni, all’interno dei futuri libri di Storia, non verrà descritta come Atlantide o Babilonia o se qualcuno dirà che non è mai esistita!).

Motaz Azaiza/Credit: web

Comunque, nel 2024 è riuscito ad andare via da Gaza e adesso lavora, viaggia, partecipa ad eventi e tour di sensibilizzazione, parla nelle università e nei contesti internazionali per tenere alta l’attenzione, per far sì che il genocidio attualmente in atto, e ufficialmente riconosciuto con una risoluzione dell’ONU, non resti un mero flash di cronaca. Prima di fuggire dalla sua terra, però, con la macchina fotografica sempre in mano, ha fatto in modo che ciascun cittadino del mondo potesse osservare ciò che stava accadendo intorno a lui da quel fatidico 7 ottobre 2023, subito dopo che la “Operazione Diluvio” nel territorio di Israele, ad opera di Hamas, provocò 1194 morti e diede il via al rapimento di 250 persone di cui, a distanza di quasi 3 anni, ne restano in vita solo poco più di 20.

I costi umani e numerici di una sofferenza senza fine

Ad oggi, quasi mille e cinquecento persone risultano uccise da Hamas. Secondo le stime delle Nazioni Unite, invece, dall’inizio della “controffensiva” israeliana 60.138 palestinesi sono morti in territorio palestinese ad opera del Governo di Benjamin Netanyahu e della IDF. Un rapporto di uno a quaranta. Basti pensare che il 24 marzo 1944, nelle Fosse Ardeatine, furono uccisi 335 italiani perché i militari nazisti in forza a Roma avevano avuto l’ordine di fucilare 10 italiani “per ogni tedesco ucciso” (33). Un rapporto di uno a dieci!

Proseguendo nei contenuti numerici, il profilo Instagram di Motaz ha raggiunto, ad oggi, 16,4 milioni di follower. Il 7 settembre 2023 erano “soltanto” circa 25.000. Il salto nel numero di osservatori è notevole e dipende, senza ombra di alcun dubbio, dal dramma con cui questo giovane fotografo ha dovuto confrontarsi e che è stato in grado di raccontare. Chissà, probabilmente sapeva che quello che doveva fare, prima di essere di supporto nei soccorsi, era di immortalare quello che in pochi potevano (e possono tuttora) fare. Il DOVERE era assecondare l’urgenza fotografica di raccontare ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi, quello che restava sotto i suoi passi e nei suoi polmoni.
Un testimone forzato di un’imponente devastazione umana.

Istantanee di un massacro e la passione per la fotografia

Un estratto del profilo IG di Motaz Azaiza/Credit: Instagram

Il suo profilo prolifera di occhi sbarrati. Contenuti contrassegnati dall’algoritmo di Instagram come sensibili. Qualcuno di Meta dovrebbe studiare e disegnare una nuova icona per contrassegnare contenuti ultra-sensibili come i suoi. Per me è stato tecnicamente difficile riuscire ad osservare nell’insieme i suoi post, “tecnicamente” perché le dita mi tremavano.

Per avere un’idea un po’ più chiara di cosa significa avere solamente vent’anni, avere una passione e praticarla, sperimentare e crescere in quella passione e poi ritrovarsi con le mani arrugginite dal sangue altrui, dovreste andare sul suo profilo Instagram, praticare un infinite scrolling fino al suo primo post pubblicato e poi procedere verso l’alto costruendo una possibile timeline. Come tutti quelli che si sono appassionati di fotografia comprando una responsabilizzante macchina fotografica, anche lui si è fotografato allo specchio, ha fotografato fiero la propria Canon poggiata su un tavolo, ha pubblicato la stessa foto prima in bianco e nero e poi a colori, ha fotografato i fiori, un amico.


È soprattutto guardando il profilo partendo dai suoi primi post che si percepisce la coesistenza tra sogno pregresso ed inumana realtà. Ogni volta che tutto sembra sia mediamente normale nella sua narrazione social, irrompe all’improvviso un’immagine di percezione di pericolo, di allerta che poi si riconosce come esplosione di dolore in 1080 pixel di larghezza.

11 maggio 2014, il primo post di Motaz Azaiza/Credit: Instagram/Motaz Azaiza

Ogni scatto può salvare una memoria

Motaz voleva essere un ritrattista. Poi ha smesso di cercare con lo sguardo quello che voleva fotografare e le immagini che lo circondavano si sono imposte nella sua raccolta visiva. Credo non avesse nemmeno il tempo di sbattere le ciglia tra l’arrivo di un orrore e la frustata di un altro a pochi metri. Ha imparato ad essere un valido fotografo con le bombe, con la cenere, con il desiderio che ogni immagine fosse un battito che non si spegne. Malauguratamente, ha compreso a spese del proprio popolo che ogni scatto può salvare una memoria, che ogni fotografia può essere a sua volta testimonianza, sopravvivenza, una domanda rivolta al mondo.

La fotografia è la storia congelata un istante, che diventa memoria collettiva – Mario Calabresi

Così diceva Calabresi, e credetemi, la Storia, un giorno o l’altro, chiederà il conto di tutto questo.

I post di Motaz dal 4 al 7 ottobre 2023/Credit: Instagram/Motaz Azaiza

È oggettivamente riscontrabile nel suo feed. Quella sua aspirazione da Portrait Photographer è stata interrotta con un afono genocidio. Solo per esercizio, proviamo a moltiplicare quell’interruzione per più di 5 milioni (i numeri fanno sempre uno strano effetto quando arrivano sulla pelle).

Una testimonianza diretta che va oltre l’immagine

Questa testimonianza diretta va oltre l’immagine. È un legame tra chi subisce e chi ascolta, un ponte che non passa per redazioni o governi. Non richiede approvazioni e a volte si riempie di macabri cuoricini rossi. Ma si ingaggia anche di tante condivisioni. Ed è questo che dà il senso a tutto. Perché permette a tutti di scoprire o riscoprire quella piccolissima molla che ci permette di sperare nel futuro, una molla chiamata “empatia” e della quale in tanti, forse troppi, sembrano esserci dimenticati. Quel minuscolo ossicino del pensiero che fa leva sulla rotula della responsabilità, trasformandosi poi in progresso. Motaz è il muscolo che unisce quelle due ossa, gonfio di tragici amminoacidi utili alla presa di coscienza.

Le sue fotografie restano memoria, non permettono che la tragedia diventi notizia che si affievolisce. Restano grida che chiedono che il mondo non resti spettatore. La rabbia, il dolore, la consapevolezza che ventimila (o più) bambini siano morti. Tutto questo trova lente nelle sue immagini. Che marcano il significato e l’importanza che la fotografia ha oggi come mai prima. Dalle sue immagini impariamo o approfondiamo l’impellenza di non restare fermi ad osservare. Decifriamo quel muto brivido che parte dagli occhi e dovrebbe arrivare alla gola per urlare. Che dovrebbe arrivare alle gambe per agire.

Non volevo inserire tanti dati. Ma i tanti numeri che sono stati inseriti in questo articolo spesso avevano due occhi e due mani ed era giusto non perderne la cifra. E soprattutto [inserisci qui il nome del dio o del messia che preferisci], i bambini! I bambini. Ogni sorriso portato via ad un bambino è un passo in più verso l’estinzione del genere umano.

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Ermanno Ivone

Consulente in comunicazione con un doppelgänger artista digitale. Professionista del Marketing tradizionale e digital dal 2003, a partire dal 2010 si appassiona di fotografia per poi utilizzarla come forma espressiva in uno stile definito e colorful. L’amore per il pesiero trascritto allarga le spalle quando la società imbocca nuove strade.

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