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John Edward Jones, l’esploratore il cui amore per l’avventura gli è costato la vita

C’è una grotta, nello Utah, che è stata sigillata per sempre. Non per pericoli geologici. E non per inaccessibilità. Al contrario, perché al suo interno giace ancora, a distanza di molti anni ormai, il corpo di un uomo, il cui nome era John Edward Jones. Non è leggenda, tantomeno la sceneggiatura di una pellicola horror. Purtroppo, si tratta di una storia vera che, all’epoca dei fatti, sconvolse l’opinione pubblica mondiale.

L’illusione più pericolosa è quella di avere il controllo – Anonimo

La storia di John Edward Jones

John aveva 26 anni, studiava medicina, amava la vita e aveva un debole per l’esplorazione speleologica, attività che molti ritengono al limite tra sport estremo e atto di fede. Il 24 novembre 2009 entrò nella Nutty Putty Cave, nello Utah, insieme a suo fratello e ad alcuni membri della famiglia. Purtroppo, non sapeva che di lì non sarebbe mai più uscito.

Una scelta sbagliata, confondere un passaggio con un altro o forse sottovalutare la morfologia di una grotta già nota per la sua pericolosità, lo portò ad infilarsi in un tunnel troppo stretto, un imbuto naturale da cui non riuscì più a liberarsi. Rimase bloccato a testa in giù, per ore. Ventisette, per la precisione. Ventisette ore in cui oltre cento soccorritori cercarono, invano, di estrarlo. Gli parlarono, gli diedero conforto, acqua, ossigeno. Ma nulla funzionò. Il corpo umano, sottoposto a una tale tensione gravitazionale inversa, cede. E così fece anche il cuore di John.

Cosa rende questa storia così perturbante? Il fatto che non sia finita. Il suo corpo, difatti, non è mai stato recuperato. La grotta è stata sigillata con il cemento, trasformata in un sepolcro naturale. Il suo nome è ancora lì, inciso all’ingresso. Nessuno può più entrare, ma tutti possono immaginare. E forse è questo il dettaglio che la nostra mente rifiuta di accettare: un luogo nel cuore della terra in cui una vita si è cristallizzata nel tempo, non più raggiungibile, non più narrabile se non come mito moderno.

È strano, sì. Ma è anche maledettamente vero. E in un’epoca in cui tutto sembra recuperabile, modificabile, perfino annullabile, la storia di John ci restituisce il brivido di un limite invalicabile. Non uno costruito dall’uomo, ma dalla natura. Un luogo dove la volontà, la scienza, la tecnica e il coraggio di chi, secondo tanti, avrebbe potuto fare di più si sono arresi.

E così, da quel giorno, sotto il manto roccioso dello Utah, un giovane resta lì. Non come simbolo della morte. Ma come monito eterno di ciò che non possiamo controllare.

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La Redazione

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