Credit: ANSA
Oggi, 22 settembre 2025, abbiamo assistito ad uno dei paradossi più drammatici della contemporaneità: la contraddizione tra l’intento dichiarato e l’atto messo in scena. Quello che sarebbe dovuto essere uno sciopero per Gaza a livello nazionale per protestare pacificamente contro il genocidio perpetrato all’interno della Striscia, in alcuni contesti, soprattutto a Milano, si è malauguratamente trasformato in uno scenario che nulla ha a che vedere con il messaggio che la manifestazione si era ripromessa di propagandare.
Chi protesta per fermare uno sterminio che, a mio avviso, è dinanzi agli occhi del mondo intero, lo fa perché percepisce le istituzioni, nazionali ed internazionali, come impotenti o complici e perché teme che il proprio grido rischi di rimanere inascoltato. Una sensazione legittima, ma che perde di valore quando le azioni che l’accompagnano non rispecchiano l’essenza del cambiamento per il quale ci si batte. Difatti, mi chiedo e vi chiedo, può la rabbia collettiva, da forza promotrice di miglioramento, trasformarsi in un detonatore che potrebbe mandare all’aria tutto, persino le istanze più giuste?
Io capisco la forza di voler spezzare l’indifferenza, della serie “se non mi ascolti quando parlo, mi ascolterai quando urlo o quando brucio qualcosa”. Sfortunatamente, però, in questa dinamica l’idea di pace viene sostituita da un linguaggio violento. Non sappiamo più elaborare il dolore con le parole, né con i gesti pacifici. Abbiamo bisogno del gesto eclatante, anche a costo di contraddire la causa stessa che ci ha mossi. Ed è proprio qui il punto: cosa ci dice di noi, come società, il bisogno di urlare e distruggere per essere ascoltati?
Il risultato è che la città di Milano, che ha visto la Stazione Centrale in preda ad un vero e proprio assalto nel corso della giornata odierna, è diventata teatro NON di un’istanza di pace, MA della rappresentazione della nostra incapacità di distinguere tra protesta e violenza. E così, paradossalmente, mentre si scende in piazza per dare voce a chi subisce la distruzione, si finisce per distruggere noi stessi lo spazio comune che ci ospita.
Come diceva Benedetto Croce:
La violenza non è forza, ma debolezza; né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruttrice
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