Costume e Società

Brainrot, il “marciume celebrale” di un’epoca sempre più virtuale e meno reale

Nell’immensità frenetica del panorama digitale contemporaneo, il tempo sembra essere diventato una risorsa tanto abbondante quanto sfuggente. Chiunque si ritrovi a navigare sul web, noi inclusi, viene costantemente sommerso da una quantità sempre crescente di contenuti, alimentati da una miriade di dispositivi, notifiche e piattaforme che competono l’una contro l’altra per catturare l’attenzione degli utenti. Si potrebbe dire che siamo protagonisti di un esperimento antropologico senza precedenti, in cui la connessione permanente non è più un privilegio, ma una prassi ordinaria.

Eppure, per quanto straordinario possa apparire, questo scenario, apparentemente iperproduttivo, cela dietro di sé un fenomeno insidioso che è stato recentemente catturato in una singola ed incisiva espressione: “brainrot”. Ma di cosa si tratta?

Qual è il fenomeno che cela dietro la parola “brainrot”?

Scelto dall’Oxford Dictionary come Parola dell’Anno 2024, infatti, il termine “brainrot” non solo fotografa quello che in molti etichetterebbero come il vero e proprio “carcinoma” del nostro tempo, ma solleva soprattutto interrogativi profondi sulla qualità del modus vivendi contemporaneo. Non a caso, la sua traduzione letterale è effettivamente “marciume cerebrale” e fa riferimento ad una comprovata “decadenza mentale” associata a un consumo eccessivo di contenuti digitali banali o intellettualmente poco stimolanti, mettendo in evidenza una realtà fatta di tensioni, paradossi e autocritiche che forse merita di essere esplorata.

Un tratto tipico dei più giovani

Non è un caso che il termine “brainrot”, e per certi versi persino la sua manifestazione più concreta, abbia trovato terreno fertile tra i più giovani, in particolare tra gli appartenenti alla Generazione Z e alla Generazione Alpha, cresciuti in un ambiente dove i confini tra reale e virtuale sono sempre più sfumati. Nonostante la loro familiarità con il digitale, costoro sembrano aver adottato la definizione con un tono di ironia mista a consapevolezza. Sanno di essere parte del problema perché, in fondo, coloro che creano, condividono e consumano i contenuti che alimentano il “brainrot” sono gli stessi che ne denunciano gli effetti​.

Questa adozione linguistica, però, non è un semplice esercizio semantico. Anzi, se proprio volessimo trovargli un’accezione positiva, questa la si potrebbe ravvisare nell’invito intrinseco a riflettere su come viviamo la nostra quotidianità costantemente interconnessi. Guardare video su TikTok per ore, scorrere post di Instagram compulsivamente o perdersi nei threads di Reddit potrebbero essere pure delle attività piacevoli, ma a lungo termine rischiano di lasciare una sensazione di vuoto (e non solo!). Perciò, è qui che il “brainrot” si manifesta: non tanto come una patologia, ma come una diagnosi culturale che punta il dito su un malessere diffuso.

Credit: web

Dalla quantità alla qualità: un’esigenza emergente

L’uso dilagante della parola e i crescenti riscontri nella quotidianità di ognuno di noi non sono solamente un sintomo, bensì un’indicazione del desiderio collettivo di rivedere il nostro rapporto con i media digitali. Vivendo in un mondo iperstimolante, in cui la noia può essere evitata con un semplice swipe o un clic, non ci staremmo forse privando di uno stato mentale che è spesso alla base della creatività e dell’introspezione? Siamo ancora in grado di accogliere il silenzio e il vuoto come momenti rigenerativi?

Le piattaforme digitali, come già anticipato, ci offrono un flusso continuo di contenuti, ma a quale costo? Quanto spesso scegliamo consapevolmente ciò che consumiamo rispetto a quanto accettiamo ciò che l’algoritmo ci propone? Ciò ci sta rendendo meno capaci di concentrazione e di pensiero critico? Per carità, non tutti i contenuti digitali sono “nocivi”. Al contrario, alcuni possono essere addirittura educativi, stimolanti o semplicemente un modo sano per rilassarsi. Tuttavia, come possiamo discernere tra ciò che arricchisce la nostra mente e ciò che contribuisce al “brainrot”?

In più, bisogna sottolineare che tale fenomeno non riguarda solo i social media, ma si può estendere a molte altre aree della nostra vita, in cui il consumo eccessivo di contenuti superficiali ha un impatto su come pensiamo, sentiamo e interagiamo. Rappresenta il pericolo di diventare spettatori passivi in una realtà progettata per attirare la nostra attenzione, ma raramente per nutrire la nostra mente.

Il “Brainrot” come specchio della nostra quotidianità

Ed è per questo che riconoscere il “brainrot” può essere il primo passo per un cambiamento consapevole e, come avviene per ogni diagnosi, il punto di partenza per una rinascita. Ma come possiamo invertire questa tendenza senza rinunciare ai benefici della tecnologia? Non dobbiamo demonizzare il digitale, ma semplicemente imparare ad usarlo in modo più equilibrato. Dopotutto, si tratta di uno specchio che ci costringe a guardare dentro di noi e a chiederci chi vogliamo essere. Certo, una domanda a cui non è facile rispondere, che può fungere da ottima base per trovare il sistema per vivere in armonia con tali contenuti senza che vi siano rischi per nostra salute mentale. Un po’ quel che diceva il celebre studioso dei media Marshall McLuhan:

Plasmiamo i nostri strumenti, e poi i nostri strumenti plasmano noi

Per rimanere aggiornato sulle ultime opinioni, seguici su: il nostro sitoInstagramFacebook e LinkedIn

La Redazione

I nostri articoli hanno la volontà di fornire tutte le informazioni necessarie a comprendere pienamente la notizia e il suo contesto. In questo modo, miriamo a restituire al lettore una visione chiara e completa degli eventi che contano. Ci impegniamo a presentare una varietà di prospettive autorevoli sulla storia e sui temi che plasmano il nostro mondo. Il nostro impegno per la libertà di espressione e d'informazione è saldo e quotidiano. Crediamo fermamente che ogni opinione debba essere rispettata e valorizzata, indipendentemente dalla sua origine o dalle influenze che la modellano. Con una redazione composta da voci diverse e autorevoli, ci sforziamo di offrire una copertura equilibrata e informativa che sia al servizio della verità e della comprensione, contribuendo così a un dialogo pubblico informato e inclusivo. L’Opinione arriva anche nella tua casella di posta con diverse newsletter.

Recent Posts

Ikigai, trovare il proprio per essere felici: Bettina Lemke ci aiuta a trovare la ragione della nostra vita

Il concetto di ikigai si riferisce alla sensazione di vivere una vita ricca di significato,…

16 ore ago

Sala Albano Carrisi, un laboratorio per coltivare la nuova generazione di artisti italiani

Un laboratorio di educazione musicale dedicato ai valori della tradizione italiana. Nel cuore del quartiere…

2 giorni ago

Vittorio Sgarbi, ombre e tensioni nella casa del celebre critico d’arte: tra fragilità, eredità e silenzi familiari

In questi mesi la figlia minore di Vittorio Sgarbi, Evelina Sgarbi, ospite in vari programmi…

3 giorni ago

Pamela Genini, un’altra vita spezzata e l’ennesimo paio di scarpe rosse da esporre: quando si sanerà questa piaga sociale?

Pamela Genini, ventinove anni, è stata brutalmente uccisa da Gianluca Soncin, cinquantadue anni, ossia l’uomo…

3 giorni ago

Giornata Mondiale del Rifiuto della Miseria: quando la povertà degli altri è anche la nostra!

Superare la povertà non è un gesto di carità. È un atto di giustizia. È…

3 giorni ago

La nuova povertà del XXI secolo: quella socialità che è ormai diventata un lusso!

Che si tratti di una pizza con gli amici, di un bicchiere di vino dopo…

3 giorni ago