È il 14 luglio 1963 e l’Italia è ancora in bianco e nero, letteralmente, quando sull’amatissimo Carosello (cliccate QUI per il nostro articolo a riguardo) fa capolino un animaletto minuscolo, un pulcino goffo e impacciato, ma dal cuore puro, col guscio dell’uovo ancora in testa e un’unica particolarità che lo rende sin da subito indimenticabile: è nero. Il suo nome è Calimero e oggi, a distanza di oltre sessant’anni dal suo debutto televisivo, è uno dei personaggi più iconici del piccolo schermo, un simbolo dell’emarginazione innocente e, forse, il primo “antieroe empatico” dell’animazione italiana.
Nato dalla mente dei creativi Toni Pagot, Nino Pagot e Ignazio Colnaghi, Calimero esordisce nel panorama dello show business nostrano inizialmente come mascotte per una pubblicità dei detersivi Ava, trasmessa nel Carosello, ma nell’arco di pochissimo tempo riesce ad imporsi ben oltre i confini del marketing. Chissà, magari perché, al di là dell’aspetto cartoonesco, risultò essere immediatamente troppo vero, troppo umano, troppo universale. Non a caso, in una delle sue esternazioni più iconiche grida al mondo:
È un’ingiustizia però!
Una frase che pronuncia per la prima volta con un tono teneramente sconsolato e che entra all’improvviso nell’immagino collettivo dell’intera penisola. Ma perché? Ebbene, perché la sua non è solo la voce di un pulcino, ma è anche (e soprattutto) la voce di chi non viene capito, di chi si sente escluso senza colpa, di chi cerca un proprio posto nel mondo.
All’epoca, infatti, lo sviluppo di un personaggio “nero”, sia letteralmente che simbolicamente, alle prese con una continua ricerca di attenzione e comprensione, era un qualcosa che andava ben oltre quel dettaglio estetico che, senza ombra di dubbio, risultò essere d’impatto per alcuni. Calimero è diverso dagli altri, questo è certo, ma la sua particolarità non sta tanto nel carattere o nell’essenza quanto nell’apparenza. Non è un caso, in effetti, che alla fine si scopra che egli non ha un colore differente da qualsiasi altro pulcino: è soltanto sporco, ricoperto di fuliggine!
Un messaggio che a primo impatto potrebbe sembrare insignificante, ma che, a pensarci bene, è involontariamente (forse?) e prepotentemente politico, soprattutto per gli anni in cui venne diffuso: l’apparenza inganna e la discriminazione nasce, spesso e volentieri, da una visione superficiale. Ed è qui, benché nasca come un pupazzo da réclame, che Calimero si trasforma in un fenomeno transgenerazionale.
Difatti, nel giro di poco tempo passò dai caroselli alle serie animate (italiane, giapponesi e francesi!), ai fumetti e al merchandising, fino a divenire uno dei volti di punta dello show business internazionale. Fu uno dei primi “cartoni dell’infanzia”, inoltre, ad esprimere la fragilità senza vergogna, ad ammettere il bisogno di aiuto e ad essere teneramente sfortunato senza diventare ridicolo. Indicativo del suo impatto è il fatto che l’espressione “sindrome di Calimero” sia entrata nel linguaggio comune in riferimento a chi si sente (o si atteggia a) vittima perenne, a volte con ragione, altre per autoindulgenza, sebbene ridurlo ad una mera caricatura del vittimismo sia ingeneroso. Perché, in realtà, Calimero cerca giustizia, non compassione.
Un aspetto da non trascurare perché, in una società in cui si celebrano l’efficienza, la prestazione e la perfezione patinata, il piccolo pulcino “nero” ci ricorda il valore dell’imperfezione, della vulnerabilità. È l’incompreso che non alza la voce, ma che riesce a commuovere; colui che non cambia per piacere agli altri, ma che chiede semplicemente di essere visto per quello che è. Perché sentirsi diversi non è un errore e, il più delle volte, l’anima più pulita è proprio quella che il mondo ha provato a sporcare!
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