In questi giorni la Corte Suprema degli Stati Uniti ha iniziato ad ascoltare le argomentazioni delle parti su una delle questioni più delicate e divisive nel panorama sociale e legislativo americano (e non solo): è il caso Chiles contro Salazar, il ricorso contro la legge del Colorado che vieta la “terapia di conversione” per i minori (Minor Conversion Therapy Law, MCTL). E’ una sentenza chiave perché verrà determinata la legalità delle leggi federali e statali che impediscono al personale sanitario professionista di sottoporre persone di età inferiore ai 18 anni a pratiche che sostengono possano modificare il loro orientamento sessuale ed affettivo o identità di genere. Le cosiddette teorie riparative.
Il tema nodale su cui si sta avvitando il dibattito è se questa legge possa costituire una limitazione illegittima della libertà di espressione (Primo Emendamento) oppure possa essere considerata una regolamentazione legittima della condotta professionale.
Facciamo un po’ di chiarezza.
Patty Salazar, è la direttrice esecutiva del Dipartimento delle Agenzie di Regolamentazione del Colorado. Sostiene che la sopracitata MCTL sia una legge necessaria per proteggere le persone più giovani e in quanto tali, più esposte alla tutela oggettiva. Le pratiche di conversione possono comportare modifiche traumatiche del comportamento e danni psicologici e relazionali importanti, visto che l’humus su cui si consolidano sono l’obsoleta convinzione che le persone LGBTQ+ possano essere “curate”, che siano malate e come per un qualunque male che affligge corpo e mente, questo deve essere estirpato e curato.
Kaley Chiles è una counselor professionista abilitata che esercita a Colorado Springs. Ha conseguito un master in salute mentale clinica e offre terapia della parola, specializzandosi in pazienti che affrontano dipendenze, traumi, sessualità, disforia di genere e altri problemi di salute mentale. Chiles si identifica come cristiana e assiste pazienti che spesso cercano cure basate sulla religione, in linea con la tradizionale comprensione biblica di sessualità e genere. Dall’approvazione della legge, Chiles si è astenuta dall’intraprendere discussioni con minori che, a suo avviso, potrebbero essere interpretate come terapia di conversione e sostiene che ciò abbia ostacolato la sua capacità di fornire servizi di consulenza completi in linea con le sue convinzioni religiose e quelle dei suoi clienti.
Le pratiche di conversione SOGIE (note anche come “terapie di conversione”) mirano a cambiare o a sopprimere l’orientamento sessuale, l’identità di genere o l’espressione di una persona quando non sono conformi alla norma dominante percepita. In Europa e nel mondo, ancora oggi, ci sono imprese commerciali e comunità religiose che mettono in atto queste pratiche, le quali avvengono comunemente attraverso i seguenti metodi: psicoterapia, interventi medici, interventi basati sulla fede. Pratiche il più delle volte esercitate senza il consenso dell’individuo. E questo è un punto focale. Chi vi si sottopone sviluppa il più delle volte problemi di salute mentale come depressione, ansia e ideazione suicidaria. Più ricerche hanno dimostrato come i giovani LGBTQ+ costretti a sottoporsi a pratiche di conversione abbiano il doppio delle probabilità di tentare il suicidio.
Le norme internazionali sui diritti umani mandano un messaggio chiaro: non c’è posto per le pratiche di conversione SOGIE.
L’attuale strategia per l’uguaglianza LGBTIQ 2020-2025 della Commissione europea, ad esempio, classifica tali pratiche come dannose per la salute fisica e mentale delle persone LGBTIQ. Al Consiglio d’Europa, tali pratiche sono state criticate da diversi organismi, tra cui l’Assemblea parlamentare e il Congresso dei poteri locali e regionali.
Questi atti sono in evidente contrasto con l’articolo 8 della CEDU che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali ha rilevato, inoltre, che le pratiche di conversione SOGIE violano il diritto delle persone LGBTI alla salute sessuale e riproduttiva. È importante notare che queste pratiche trattano le persone in modo diverso sulla base di caratteristiche come l’orientamento sessuale o l’identità di genere, e non hanno una giustificazione oggettiva e ragionevole
La diffusione delle pratiche di conversione SOGIE in Europa non è nota, poiché spesso avvengono in condizioni di segretezza. Si stima che il 2% delle persone LGBTI nell’UE si sia sottoposto a tali pratiche e che al 5% siano state proposte, anche se le cifre reali potrebbero essere molto più alte. Secondo i dati più recenti, disponibili nel Regno Unito, circa un quinto delle persone LGBTI ha subito pratiche di conversione SOGIE.
Gli effetti di queste pratiche possono essere devastanti. Le persone che vi sono sottoposte possono subire danni psicologici significativi, tra cui depressione e ansia, vergogna o odio per sé stessi, pensieri suicidi o tentativi di suicidio, disturbo post-traumatico da stress, nonché conseguenze fisiche sulla salute, come ulcere allo stomaco, disturbi sessuali e alimentari ed emicranie. Gli interventi stessi possono anche provocare danni fisici permanenti.
In sostanza Chiles e Salazar sintetizzano due posizione opposte: per chi è favorevole alla norma, la terapia di conversione è vista come una forma di pressione psicologica e religiosa che manipolando, mira a “correggere”. Al contrario chi è contrario alla norma, ritiene che le pratiche di conversione altro non siano che la libertà di proporre un percorso morale o religioso, in linea con le proprie convinzioni.
E fin qui questa la disanima di fatti, azioni e persone con le loro posizioni in un contesto giurisdizionale. Ma c’è molto di più in questa decisiva sentenza tanto attesa: al di là della questione giuridica vi è un confronto tra il diritto di seguire la propria fede e la libertà di essere se stessi. Potrebbe ridefinire il rapporto tra libertà di espressione, fede religiosa e diritti civili delle persone LGBTQ+. Il primo caso di questo tipo giunto davanti alle più alte cariche della giurisdizione, la cui decisione finale – attesa nei prossimi mesi – potrebbe avere effetti di vasta portata su 28 Stati che attualmente vietano questa pratica.
Ovviamente la possibilità e l’autorappresentazione di se stess* dovrebbe essere un principio civile ed umano su cui non ci dovrebbe essere opinabilità. Chiaro che l’affermazione di genere o meglio la riappropriazione di genere dovrebbe rientrare nei diritti inalienabili dell’essere umano e che non è la decisione di chi fa del proprio privilegio un diritto da estendere a tutte le persone il metro di misura su cui la vita di ogni essere umano deve essere analizzata e stabilita. Come chi si arroga il diritto di scrivere su una lavagna chi è buono o chi e cattivo.
Qui non stiamo parlando dell’inalienabile diritto ad essere quello che si decide di essere nella e per la propria vita. Questa opinione, ahimè vorrei che fosse legge, ma non è ancora quel momento.
Il tema su cui riflettere è sulla liceità di poter esercitare il proprio diritto di esternare il proprio pensiero e il diritto alla propria libertà personale, come sancito dal 1 Emendamento (che protegge la libertà di religione, parola, stampa, riunione pacifica e di presentare petizioni al governo) a prescindere dal proprio ruolo, dalla piattaforma che si utilizza, dall’interlocutor* che cerca un professionista perché spera di trovare una guida o una consulenza che lo orienti in un suo percorso di passaggio con tutte le fragilità e le delicatezze del caso.
Se si e’ professionista e consulente terapeutico si può avere il proprio libero e lecito pensiero mentre si esercita il proprio mestiere davanti ad una persona che ricerca un parere professionale? No. Puoi essere comunque libero di esternare i tuoi pensieri, orientando il sentire dell’altro, come se parlassi in una dimensione di parità con un amico al bar? No. Ci si può sentirti esenti dal divieto di orientare l’altro in base al proprio credo religioso o convinzioni della propria sfera morale solo perché non si è in presenza di farmaci o di tecniche ahimè tristemente diffuse e invasive come l’elettroshock? La mia risposta è e sarà sempre no.
Ascolto dell’altro significa essere per l’altro, non sull’altro. Significa non soverchiare e manipolare, ma permettere di far venire fuori la persona di fronte a te, non trovare te in quella persona. Tutte le Chiles della terra, stanno esercitando un abuso di potere, ben consapevoli che ora lo possono fare e che come davanti ad una cronaca di una morte annunciata, la sentenza sarà già scritta.
Inevitabile. Perniciosa e violenta. Ancora una volta.
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