“L’uso della forza in ambito medico-psichiatrico è contrario alla Carta dell’ONU”. Questa è la denuncia che parte da una associazione anti-psichiatria, il Comitato dei cittadini per i diritti dell’uomo, fondato nel 1969 dalla Chiesa di Scientology e dal professor Thomas Szasz, noto psichiatra e autore conosciuto in tutto il mondo. Il movimento internazionale anti-psichiatria, che include una pluralità di soggetti della società civile, ha sollevato molte critiche contro la psichiatria tradizionale, parlando di vera e propria coercizione psichiatrica, di a-scientificità e di essere troppo legata agli affari dell’industria farmaceutica.
La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci – Isaac Asimov
La storia della psichiatria ha avuto momenti bui, specialmente durante i periodi di regime autoritario, dove le pratiche coercitive erano purtroppo all’ordine del giorno, un vero e proprio contagio nell’uso della forza come strumento di controllo. La psichiatria tradizionale ha iniziato a svilupparsi alla fine dell’Ottocento e ha visto molte evoluzioni, alcune delle quali sono state molto controverse. Le atrocità compiute sotto i regimi europei di Hitler e Mussolini non si sono esaurite con Norimberga, e non è un caso se il medico portoghese Egas Moniz, nel 1949, è stato premiato con il Nobel per la Medicina per lo sviluppo della lobotomia, forse sottraendolo al “nostrano” Ugo Cerletti per l’invenzione dell’elettroshock.
Sembra assurdo che innovazioni tanto devastanti possano ricevere il plauso della comunità internazionale, eppure anche questa è Storia! La lobotomia e l’elettroshock sono degli esempi di come alcune pratiche psichiatriche del passato siano oggi viste come estremamente problematiche e dannose per i pazienti. La psichiatria, forte di un riconoscimento pubblico come “autorità” dal sistema, pur cercando di bilanciare il trattamento medico con il rispetto dei diritti umani e la dignità dei pazienti, continua a evolversi e genera altri “strumenti legalizzati”, il caso più emblematico e ancora contemporaneo è il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).
È importante riconoscere che quel credito di fiducia riposto nella categoria “del camice bianco” è stato forse irrimediabilmente tradito dai crimini commessi. Gli errori del passato dovrebbero, però, servire per poter costruire un futuro migliore nella cura della salute mentale. La mia opinione è che le radici della coercizione psichiatrica moderna siano il lascito nefasto di una “psichiatria fascista”, brutale, “senz’anima”, diretta espressione di medici misantropi.
La psichiatria moderna, dove l’aggettivo ha un’accezione necessariamente negativa, possiamo vederla fiorire a fine Ottocento e raggiungere l’apice con il Nobel dato a Moniz nel 1949. Si guadagnò sempre più “autorità scientifica” pur non avendo alcuna autorevolezza nel campo della scienza. Detto con altre parole, una psichiatria figlia di un modello di intendere l’uomo come oggetto, cavia sacrificale, utile alla sperimentazione di terapie innovative, accompagnando il passaggio dalla psicochirurgia alle droghe farmaceutiche.
Non c’è da stupirsi che molti leghino la categoria degli psichiatri alle depravazioni più disumane.
L’argomento andrebbe affrontato sulla scorta di alcune letture essenziali. Proviamo a citare qualche testo: il libro di Giulio Meotti “Ippocrate è morto ad Auschwitz” (Lindau, 2021). Oppure, per restare nel nostro giardino, il libro di Roberto Cestari “L’inganno psichiatrico” (Lib & Res, 2012). Un’altra proposta di lettura potrebbe essere il libro di approfondimento “Coercizione e disagio psichico. La contenzione tra dignità e sicurezza” di Marialuisa Menegatto e Adriano Zamperini (Il Pensiero Scientifico editore, 2018), arricchito da una prefazione di Luigi Manconi.
In ambito cinematografico, invece, per farsi un’opinione sul tema si potrebbe iniziare lo studio con il celebre film “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (1975) di Miloš Forman e con il film-documentario “Matti da slegare” (stesso anno), scritto e diretto da Marco Bellocchio. Quest’ultima pellicola nacque con l’intento di sostenere le tesi dello psichiatra Franco Basaglia sulla malattia mentale e contribuire all’eliminazione dei manicomi. Fu girato all’interno dell’ospedale psichiatrico di Colorno (Parma).
Quale che sia la tesi più utile per tentare di spiegare l’assurda realtà, la concretezza ci impone una verità con cui fare i conti: la pratica dei Trattamenti Sanitari Obbligatori rimane ancora troppo diffusa. Ogni anno i sindaci, nella loro prerogativa di essere l’autorità sanitaria locale, autorizzano, per mano propria o delegando assessori o membri della Giunta, tra i 5.000 e i 10.000 TSO, ogni anno. Possono farlo? Sì, è scritto nell’articolo 13 della Legge 833/1978: questa legge, che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, attribuisce al Sindaco il compito di autorità sanitaria locale. Inoltre l’articolo 50 del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL) specifica che il Sindaco esercita le funzioni di autorità sanitaria locale soprattutto “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica”.
Alcuni di questi diventano casi mediatici – Giuseppe Casu (2006), Francesco Mastrogiovanni (2009), Giuseppe Uva (2008), Riccardo Magherini (2014), Andrea Soldi (2015), – perché hanno avuto un finale tragico, ma la stragrande maggioranza “scivola” nell’indifferenza più silente, in una comunità divenuta sommariamente individualista, un virus che ammorba le nostre fragili comunità, o quel che ne resta delle comunità.
Sebbene il nostro paese sia all’avanguardia su tante cose, riempiendo il mondo di eccellenze Made in Italy, in altri campi lascia a desiderare. Nel campo dei trattamenti psichiatrici coercitivi (tra cui i TSO) i numeri ci dicono che siamo in netto contrasto con i principi di tutela della salute mentale sanciti dalle linee guida congiunte dell’ONU e dell’OMS.
Il modello biomedico attribuisce la malattia principalmente a fattori biologici, come virus, geni o anomalie somatiche, che il medico deve identificare e correggere. Secondo il Glossario linee guida ONU-OMS il modello si basa sul concetto che le condizioni di salute mentale siano causate da fattori neurobiologici; ciò ha come conseguenza che l’assistenza spesso si concentra sulla diagnosi, sui farmaci e sulla riduzione dei sintomi, piuttosto che considerare l’intera gamma di fattori sociali e ambientali che possono avere un impatto sulla salute mentale.
Il modello biomedico in ambito psichiatrico emerse a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Nel 1845, il medico tedesco Wilhelm Griesinger pubblicò “Pathologie und Therapie der psychischen Krankheiten”, in cui sosteneva che i disturbi mentali avessero una base organica e che dovessero essere trattati come malattie del cervello. Verso la fine del XIX secolo, il concetto di “malattia mentale” come condizione medica organica si affermò ulteriormente grazie ai lavori di psichiatri come Emil Kraepelin, che classificò i disturbi mentali in base a sintomi e cause biologiche.
All’inizio del XX secolo, il modello biomedico si consolidò come l’approccio dominante in psichiatria. Esso concepiva i disturbi mentali come malattie del cervello, da diagnosticare e trattare attraverso farmaci, terapie fisiche e interventi chirurgici. Questo modello medicalizzante rimase il paradigma dominante in psichiatria per gran parte del XX secolo, fino all’emergere di approcci psicosociali e psicoanalitici negli anni ’60-’70. Ancora oggi il modello biologico medico resta il predominante assoluto.
Il 9 giugno 2021 è stata pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la guida ai servizi di salute mentale basati sulla comunità, i cui punti fondamentali solo:
superamento del modello biomedico-farmacologico;
abolizione di tutte le pratiche coercitive;
adozione di un approccio olistico al disagio psicosociale;
implementazione delle buone pratiche sperimentate con successo in varie parti del mondo, come il supporto tra pari, la presenza di sostegno concreto sul territorio e l’integrazione dei servizi di salute mentale con un supporto sociale di ampio spettro, che comprenda alloggio, istruzione, servizi sociali ecc.
Dall’ONU è arrivata una raccomandazione ancora più esplicita. Il Consiglio sui Diritti Umani, nella Quarantanovesima seduta (28 febbraio – 1 aprile 2022), ha deliberato che in virtù degli obblighi degli Stati, ai sensi della Convenzione “si dovrebbero abrogare le disposizioni sull’istituzionalizzazione forzata […] e porre fine alle pratiche di trattamento involontario […]”.
Nel solo comune di Milano i TSO sono 120 all’anno. A livello nazionale, la media è di circa un TSO ogni 10.000 abitanti, per un totale di circa 7.800 all’anno (fonte: Ministero della Salute). In Italia persiste un sistema di cura della salute mentale basato ancora su pratiche coercitive e approcci biomedici. È urgente intraprendere una riforma radicale, che ponga al centro il rispetto dei diritti umani e un approccio maggiormente incentrato sulla comunità e sulla persona, come indicato dalle linee guida internazionali.
Come sottolineato, l’Italia è in contrasto con le linee guida internazionali dell’ONU e dell’OMS sulla tutela della salute mentale. Ciò richiede un serio sforzo di riforma e adeguamento del sistema di cura psichiatrica, per allinearlo ai principi di rispetto dell’autonomia e dei diritti fondamentali dei pazienti.
In sintesi, i numeri elevati di TSO che si compiono in Italia evidenziano un approccio emergenziale alla fragilità che è anacronistico e incompatibile con uno stato di diritto. Si palesa la necessità di un profondo ripensamento dell’approccio alla salute mentale, superando l’uso eccessivo della contenzione e della coercizione, a favore di modelli di cura più rispettosi e incentrati sulla persona.
Si tratta di una sfida complessa, ma imprescindibile, per garantire il benessere e la tutela delle persone più fragili.
A Milano il Comitato dei Cittadini per i Diritti dell’Uomo inaugurerà la mostra Documento-fotografica “Oltre il Manicomio”, presso il Palazzo dei Giureconsulti in Piazza dei Mercanti 2. L’inaugurazione è prevista il 2 settembre ore 17:30 e resterà aperto sino all’8 settembre con un ingresso gratuito dalle 10 alle 19.
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