oggetti vintage
C’è qualcosa di irresistibile in quegli oggetti vintage che oggi non servono più a nulla – o quasi. Parliamoci chiaro: nessuno ha davvero bisogno di un telefono a disco nel 2025, a meno che non si stia girando una fiction ambientata negli anni Settanta o si voglia provare l’ebrezza di litigare con un centralino immaginario. Eppure, eccoli lì, troneggianti nelle nostre case, nei mercatini, su Instagram, nelle vetrine hipster: polverosi, superati, spesso rotti… e incredibilmente affascinanti.
Perché? Da un lato, è ovviamente nostalgia. Una carezza all’anima. Quei telefoni che facevano tac tac tac mentre componevamo il numero ci riportano a un’epoca in cui la pazienza era una virtù obbligatoria, non una skill da mindfulness. Le videocassette? Altro che algoritmo: dovevi scegliere un film una volta sola, e poi dovevi riavvolgerlo (una parola che per Gen Z è quasi mitologica). Non c’era il lusso del multitasking, e forse nemmeno quello della qualità d’immagine, ma c’era la magia di un rituale.
Eppure, c’è dell’altro. Forse collezionare oggetti vintage inutili è anche una forma di ribellione silenziosa ma efficace. Un modo per dire: “No, non voglio che tutto sia veloce, perfetto, touch. Voglio il fruscio, l’attesa, lo sbaglio”. Come se quel vecchio walkman, con le sue pile stanche e i nastri ingarbugliati, ci desse il diritto di rallentare. Di sentirci un po’ analogici in un mondo che corre su fibra ottica.
È anche un piccolo atto poetico. O ironico. Una videocassetta, oggi, è un oggetto assurdo. Un dinosauro tecnologico. Ma regalarne una – magari con un messaggio scritto sopra a pennarello – è più romantico di mille sticker su WhatsApp. È come dire: “Ti voglio bene con tutta la goffaggine di un oggetto che non sa più dove mettersi”. È un amore fuori tempo massimo. Ma proprio per questo, autentico.
E diciamolo: collezionare questi cimeli è anche un modo simpatico per sentirsi giovani nonostante tutto. Perché, se puoi dire “Io questo l’ho usato per davvero”, allora sei un sopravvissuto. Sei vintage pure tu. E in un’epoca in cui tutto è aggiornabile, essere inattuali è la vera rivoluzione.
Quindi no, non sono solo oggetti inutili. Sono specchi imperfetti del nostro desiderio di rallentare, di ricordare, di resistere. Magari anche solo con una Polaroid che stampa male. Ma con un cuore grande così.
C’è poi un dettaglio non da poco: questi oggetti inutili, spesso, sono anche belli da morire. Esteticamente parlando, il vintage ha vinto a mani basse. Le linee morbide di una macchina da scrivere Olivetti, i colori pastello di una radio anni ’60, i tasti che “fanno click” prima ancora di fare qualcosa… E che dire dei cellulari, quelli di altri tempi: ognuno con il suo design, la sua forma, i suoi colori, le sue funzionalità… altro che i telefoni copia e incolla di ultima generazione, tutti uguali, tutti standard, tutti così grigi e monotoni!
Gli oggetti vintage sono piaceri visivi e tattili che il minimalismo digitale ha sacrificato sull’altare della funzionalità. Il nostro smartphone fa tutto, sì, ma prova a usarlo come soprammobile: triste come una riunione su Zoom il lunedì mattina.
In fondo, in quell’oggetto vintage che scegliamo di tenere in casa, c’è anche una piccola dichiarazione d’identità. È come se dicessimo: “Io non mi accontento dell’ultima versione aggiornata. Voglio qualcosa che abbia vissuto, che abbia una storia. Qualcosa che suoni il tempo, non che lo cancelli”. Una radio con la manopola che fruscia è più simile al battito cardiaco della memoria che al silenzio perfetto di una playlist su Spotify.
E poi c’è il gusto del non uso. Una videocassetta oggi è il contrario della produttività. Non serve, non funziona, occupa spazio. E proprio per questo ci salva. Ci ricorda che non tutto deve avere uno scopo, una monetizzazione, un’app collegata. Alcune cose esistono solo per farci sorridere. O per guardarci, muti, dalla mensola, e dirci: “Ehi, ti ricordi com’eri?”.
Il vintage non è solo un oggetto, è una storia – Anonimo
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