Al pari di tante altre ricorrenze, una molteplicità di significati, più o meno profondi, si legano all’8 marzo. Per alcune persone la “Festa della Donna” è sicuramente un giorno di celebrazione, per altre un’occasione di denuncia e, infine, per altre ancora un momento di doverosa e dovuta riflessione.
Da quando è stata istituita, la Giornata Internazionale della Donna sembra aver subito una trasformazione significativa, passando dall’essere uno dei simboli, se non l’emblema per eccellenza, della lotta femminista al trasformarsi in una ricorrenza il cui significato e messaggio originari vengono spesso e volentieri sviliti per piegarli alle logiche del consumismo.
Per prima cosa, infatti, non si può e non si DEVE dimenticare che l’8 marzo nasce dalle rivendicazioni delle lavoratrici, dalle proteste per il diritto di voto, per condizioni di lavoro dignitose, per l’emancipazione.
Questo giorno ricorda le battaglie femministe e tutte quelle conquiste ottenute con fatica, prime fra tutte il diritto di voto, la parità salariale (ancora lontana dall’essere realtà), la tutela contro la violenza domestica (sebbene siano necessarie leggi più dure e punizioni più severe, oggi ancor più di ieri).
Dovrebbe essere, inoltre, un’occasione per fare il punto sulla condizione della figura femminile nel mondo, anche e soprattutto alla luce dei più recenti sviluppi politico-sociali, perché le disparità di genere restano purtroppo evidenti, dal soffitto di cristallo ai femminicidi, dalla sottorappresentazione politica alla discriminazione nel mondo del lavoro.
È un po’ quello che è successo e che succede al Natale, alla Pasqua e a San Valentino, ossia i significati originari si perdono nel rumore del qualunquismo contemporaneo. Basti pensare che le mimose ormai non sono più un’emblema di resistenza e solidarietà.
Al contrario, si sono convertite in un mero regalo, percepito quasi come dovuto, e il gesto di regalarne un mazzo é quasi automatico, privo di consapevolezza. I brand e le grandi catene, poi, si affrettano a proporre sconti e promozioni “dedicati alle donne”, riducendo dunque tale giornata ad una semplice (nonché puramente consumistica) opportunità commerciale.
Il rischio è quello di trasformare un momento di lotta in una celebrazione fine a se stessa, che poco ha a che fare con i veri problemi ancora irrisolti.
Se vogliamo che l’8 marzo abbia ancora un senso, perciò, dobbiamo impegnarci affinché si faccia ritorno alle sue origini e ci si impegni per dare l’impulso ad un cambiamento concreto e radicale. Celebrare le donne non significa soltanto regalare fiori o organizzare cene, ma anche (e soprattutto) riconoscere le disuguaglianze ancora esistenti e lavorare per superarle.
Il vero omaggio alle donne è una società in cui non ci sia bisogno di una giornata per ricordare i loro diritti, perché quei diritti saranno finalmente garantiti ogni giorno. Forse, allora, la vera domanda è: abbiamo ancora bisogno dell’8 marzo? Finché ci sarà qualcosa per cui combattere, la risposta sarà sempre sì!
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