La libertà è nulla se non include la libertà di commettere errori — Mahatma Gandhi
Nel corso delle ultime settimane, alcune proteste studentesche nate in Veneto contro la struttura degli esami di maturità hanno acceso il dibattito pubblico. Una considerevole fetta di studenti, infatti, ha scelto di boicottare la prova orale, contestando il sistema di valutazione e sostenendo che esso non valorizzi a sufficienza l’individualità di ciascuno. Tuttavia, questa forma di dissenso ha generato critiche da parte di docenti, dirigenti scolastici e opinione pubblica, che vedono in tale gesto una chiusura, più che un’apertura verso un cambiamento costruttivo.
L’Esame di Stato, secondo quanto stabilito dal Decreto Legislativo 62 del 13 aprile 2017, si articola in due prove scritte, una prova nazionale di lingua italiana e una seconda prova scritta su una o più discipline d’indirizzo (in alcuni istituti, invece, è previsto anche lo svolgimento di una terza prova scritta, e un colloquio orale finale, che ha valenza interdisciplinare e nel corso del quale il candidato deve esporre un’esperienza legata al PCTO (Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento) al fine di ottenere una valutazione complessiva sotto il profilo educativo, culturale e professionale, nonché sui diversi saperi.
Insomma, una Maturità ben strutturata e che ha, o perlomeno dovrebbe avere, l’obbligo e il dovere di valutare gli studenti dal punto di vista delle competenze e delle conoscenze acquisite nel corso del proprio percorso di istruzione e formazione. Un aspetto di cui gli alunni, però, sembrano proprio non volerne sapere un bel niente dal momento che, a detta loro, un siffatto sistema non esalterebbe la propria individualità e le proprie qualità. Ma è davvero questo il senso della scuola?
Dinanzi alle “proteste” dell’ultimo periodo, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha assunto una posizione netta, dichiarando che “chi sceglie di boicottare il colloquio orale non potrà conseguire il diploma.” Inoltre, ha l’intenzione di riformare la normativa, proponendo un divieto esplicito al boicottaggio degli esami orali, con la necessità però di modificare il Decreto Legislativo 62/2017 attraverso un confronto politico.
Al di là delle reazioni delle istituzioni, tuttavia, da docente quale sono, non posso che pormi una domanda: ci troviamo di fronte ad una protesta sensata, che rappresenta davvero un atto di consapevolezza e identità, oppure siamo alle prese con l’ennesima “fuga” dalle responsabilità e dalla sfida? Perché, in realtà, più che esaltare l’individualità, il gesto pare soltanto creare distanza e frattura tra studenti e istituzione scolastica. La credibilità della scuola e il ruolo degli insegnanti appaiono messi in discussione senza un dialogo costruttivo.
Uno studente deve dare voce alla sua protesta, dimostrando di essere capace e meritevole dell’obiettivo raggiunto. Chi si accontenta dei voti dello scritto e dei crediti formativi non sa affrontare le sfide. Molti studenti hanno dichiarato che la valutazione rende competitivi. Ma la competizione nasce quando ti metti a confronto con un’altra persona, non quando dimostri di essere ambizioso. La sana competizione, poi, dovrebbe essere stimolo di miglioramento personale e raggiungimento di obiettivi senza cadere nella logica dell’opposizione sterile. Un esame orale, se affrontato con spirito critico e personale, può diventare occasione di espressione autentica, non solo di giudizio, soprattutto perché la valutazione non è (o non dovrebbe essere) un meccanismo competitivo fine a se stesso.
Fortunatamente, non tutti hanno scelto la via della protesta. Molti studenti hanno affrontato gli esami tra sacrifici, ansia, impegno e silenziosa determinazione. Un po’ come Anastasiya, 23 anni, arrivata in Italia nel 2008: di giorno lavora, di sera studia e ottiene il diploma nell’indirizzo meccanico con 100 e lode. O come sua madre, 43 anni, che frequenta la scuola serale e si diploma con 80/100 in ambito economico-aziendale. Che dire, due esempi che parlano di resilienza, dedizione e conquista personale.
La vera domanda, allora, è un’altra: si può davvero raggiungere la maturità senza affrontare alcuna sfida, senza fatica, senza responsabilità? Il percorso scolastico è, per definizione, una palestra di crescita. Rinunciare a una prova per protesta, senza proporre una soluzione costruttiva, rischia di svuotare il significato della parola maturità stessa. È tempo che i giovani, invece di cercare scorciatoie, restituiscano dignità al merito, alla preparazione, al confronto. Perché solo così il cambiamento potrà nascere dal basso, senza tradire la scuola, ma rafforzandola!
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