Costume e Società

La nuova povertà del XXI secolo: quella socialità che è ormai diventata un lusso!

Che si tratti di una pizza con gli amici, di un bicchiere di vino dopo il lavoro o di un concerto improvvisato in una sera di libertà, oggi uscire è diventato un piccolo lusso. Ma la cosa davvero inquietante non è che tutto costi di più. È che ci stiamo abituando a pensarla così. Come se la socialità, quella fatta di gesti spontanei e risate che non si programmano, fosse diventata un privilegio riservato a chi se lo può permettere. O peggio: un capriccio.

Secondo l’ISTAT, i prezzi della ristorazione sono aumentati di circa il 20% in cinque anni. Ma la vera inflazione non è nei conti dei ristoranti: è nei rapporti umani. Non ci chiediamo più “hai voglia di uscire?”, ma “ce lo possiamo permettere?”. E ogni volta che la risposta è “meglio di no”, un piccolo pezzo di vita si spegne. Restiamo a casa non per mancanza di amici, ma per paura di non arrivare a fine mese. È una forma di solitudine economica, una povertà relazionale che non si vede, ma che pesa addosso come un cappotto d’inverno.

La solitudine economica che mina il bisogno di socialità

L’inflazione ci ha reso sempre più soli/Credit: web

La pandemia aveva reso il restare a casa un dovere civico. L’inflazione l’ha trasformato in un’abitudine. Eppure, la sensazione è la stessa: la vita scorre fuori, e noi la guardiamo da dietro un vetro, come spettatori che non possono permettersi il biglietto d’ingresso. Ma uscire non significa solo spendere: significa esserci, condividere, sentirsi parte di un mondo che vive. È la libertà di dire “andiamo” senza fare i conti prima. E quando anche quella libertà viene meno, non si tratta più solo di economia, ma di identità.

Certo, molti rispondono che “per vedersi non serve spendere”. È vero, ma è anche una semplificazione comoda. Perché non tutti hanno una casa grande o accogliente da aprire, né l’energia per cucinare dopo una giornata di lavoro, né la serenità per dire “venite da me” quando si fatica a pagare l’affitto. La povertà, anche quando è temporanea, sa essere umiliante: ti fa sentire inadeguato, ti convince che il tuo spazio, il tuo tempo, la tua presenza non bastino più.

Riprendersi le piazze

Piazza di Spagna, Roma/Credit: web

E così, mentre i locali restano pieni — perché qualcuno che può sempre c’è — un’altra parte della popolazione si ritira silenziosa, invisibile. È un pieno che non racconta la verità, ma la maschera. La distanza cresce: non più tra ricchi e poveri, ma tra chi può permettersi di vivere e chi può solo sopravvivere.

E allora forse è il momento di rimettere tutto in discussione. Perché sì, vivere costa, ma vivere insieme non dovrebbe. Siamo cresciuti sui muretti, nelle piazze, nei parchi, in panchine scomode dove nascevano amicizie e amori. Quei luoghi erano gratuiti, aperti, democratici. Oggi sembrano quasi scomparsi, divorati da dehors, parcheggi e centri commerciali. Ma la verità è che dovremmo riprenderceli. Ricordarci che la socialità non si compra: si coltiva.

Non servono sempre cocktail e menù degustazione per stare insieme. Servono spazi, tempi, la volontà di esserci davvero. Se le città non ci offrono più luoghi per incontrarci senza pagare un biglietto d’ingresso, allora dobbiamo crearli noi. Ritagliarceli tra una panchina, una scalinata, una terrazza, un cortile. Riempirli di presenza, di parole, di vita vera.

Perché sì, la crisi ci ha tolto tanto, ma non può toglierci il desiderio di comunità. Forse dobbiamo imparare di nuovo l’arte dell’essere insieme con poco, che è poi la più grande forma di ricchezza che abbiamo dimenticato. La leggerezza di condividere un tempo senza consumarlo.

Una rivoluzione gentile

Il caro prezzi ha ridotto il tasso di socialità, ma un aperitivo in compagnia non dovrebbe essere un lusso, bensì un diritto di tutti/Credit: web

In fondo, non si tratta solo di nostalgia, ma di resistenza. Sì, è un gesto di resistenza in un’epoca che ci spinge alla prudenza, al risparmio, alla rinuncia. È come dire: “Io ci sono ancora, anche se costa”. Difendere la socialità dal mercato, restituirla alle persone. Perché, paradossalmente, più cerchiamo di risparmiare, più ci impoveriamo: in fondo, la vera ricchezza non è il conto in banca, ma il numero di volte in cui ci siamo sentiti vivi. E quella vitalità, oggi, sembra un privilegio. La verità è che nessuna inflazione potrà mai compensare la mancanza di calore umano. E allora forse il gesto più rivoluzionario che possiamo fare oggi è uscire. Anche solo per un caffè. Anche solo per ricordarci che il mondo là fuori, nonostante tutto, ci sta ancora aspettando. Uscire non per spendere, ma per respirare. Perché il mondo non è un locale dove si paga l’ingresso: è una piazza che esiste solo se decidiamo di abitarla.

E allora, sì, noi intanto continuiamo a vivere. A inventarci spazi, a difendere i nostri muretti, a ritagliare momenti di libertà dove possiamo. Ma non può bastare. Perché non è giusto che uscire a bere un aperitivo, mangiare una pizza o ascoltare musica dal vivo sia diventato un privilegio. La socialità non dovrebbe essere un lusso, ma un diritto quotidiano.

Sconfiggere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia – Nelson Mandela

Serve un’economia che torni a essere democratica, che restituisca respiro e accesso alla vita comune. Interventi concreti, mirati, che ridiano valore al lavoro e tempo alle persone, non solo numeri al PIL. Perché la libertà di stare insieme — di vivere, non solo di sopravvivere — non può restare appesa al prezzo di un cocktail.

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Sonia Russo

Classe 1984, è una giornalista che ha iniziato la sua carriera nel 2006 presso un'emittente locale, dove si occupava principalmente di cultura e attualità. La sua passione per il giornalismo e la comunicazione l'ha portata a collaborare con alcune delle più importanti testate nazionali, ampliando il suo raggio d'azione su una vasta gamma di temi.Nel corso degli anni, ha scritto di attualità, cultura, spettacoli, musica, cinema, gossip, cronache reali, bellezza, moda e benessere. Ha avuto l'opportunità di intervistare numerosi cantanti, attori e personaggi televisivi italiani e stranieri.Attualmente, scrive per le riviste Mio, Eva 3000 e Eva Salute, dove continua a esplorare i temi che da sempre la appassionano, con un occhio attento alle tendenze e ai cambiamenti del panorama mediatico e culturale.

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