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La signora ammazzatutti (1994), John Waters elogia i padri dell’horror

La signora ammazzatutti. Beverly Sutphin (Kathleen Turner) è una quarantenne fiera di essere americana, patriottica e molto legata alla famiglia. Perfettamente ordinata, è un’amabile padrona di casa: disponibile e innamoratissima del marito, il dentista Eugene (Sam Waterston), molto affezionata ai figli adolescenti Misty (Ricki Lake) e al figlio minore Chip (Matthew Lillard) che nel tempo libero lavora in un negozio di videocassette ed è un grande appassionato di vecchi classici dell’orrore.

La trama

Locandina ufficiale del film/Credit: Filippo Kulberg Taub

La vita sembra tranquilla nel delizioso quartiere dove la famiglia Sutphin vive. Troppo tranquilla. Beverly ha un ristretto gruppo di amiche, tra le quali spicca l’impicciona vicina di casa Rosemary Ackerman (Mary Jo Catlett) che non divide mai la spazzatura e la povera Dottie Hinkle (Mink Stole) che viene perseguitata costantemente da un maniaco che la tortura psicologicamente tramite chiamate telefoniche oscene.

Il Professore di matematica di Chip, il signor Paul Stubbins (John Badila) manda a chiamare Beverly per parlare della situazione del figlio ed il quadro che ne esce è quello di un ragazzo morboso, distrubato e dedito a fare disegni mostruosi colmi di sangue mentre il Professore spiega. Beverly reagisce all’inizio ridendo e prendendo poco seriamente l’insegnante ma quando quest’ultimo insiste facendo notare i disturbi seri del ragazzo e suggerendo una terapia psichiatrica, la signora Suptkin cambia atteggiamento.

Di lì a poco il Professore viene brutalmente assassinato, schiacciato da una macchina azzurra. Da quel momento la vita fintamente buonista di Beverly finirà per sempre e i veri orrori usciranno fuori dal vaso di Pandora.

Il perfetto stile Waters ne “La signora ammazzatutti”

La signora ammazzatutti è una black comedy in perfetto stile Waters. Il regista elogia i grandi registi di cinema horror del passato (primo tra tutti William Castle) per ricreare un film totalmente fuori dagli schemi. Piacevolmente orribile, la pellicola è diventata sin dalla sua presentazione fuori concorso al 47 Festival di cinema di Cannes un vero proprio Cult.

L’interpretazione volutamente surreale dell’attrice protagonista, l’indomabile e austera Kathleen Turner diviene il perno centrale sul quale tutti gli altri personaggi – incredibilmente divertenti e simpatetici – ruotano venendo schiacciati dalla furia brutale dell’attrice. John Waters reduce da film di nicchia ma diventati anch’essi dei film culto (Polyester, 1981) è un esploratore dei generi. Bravo nel ‘frullare’ e mischiare tutti i generi (dalla commedia, all’horror al satirico) per creare una sanguinaria serial killer dai comportamenti fintamente per bene e oltremodo assurdi.

Una pellicola che rende lo spettatore parte attiva del racconto

Il film riesce nell’arco di un’ora e mezza a dare la possibilità allo spettatore di prendere parte vivamente alla narrazione e alla messa in scena cinematografica. Baltimora, nel Maryland, diventa il terreno fertile della pazzia, del perbenismo americano e del divertimento grottesco più spassoso. Basti pensare alla scena memorabile della protagonista intenta ad uccidere con un cosciotto di pollo un’antipatica vecchietta che si era rifiutata di riavvolgere il nastro della VHS del musical Annie (John Huston, 1982) o della ormai celebre frase: “Quelli sono succhioni di salice?”, detta sempre dalla Turner all’amica che tortura telefonicamente da mesi rea di non averle ceduto il posto auto nel parcheggio del supermercato.

Frame del film/Credit: Filippo Kulberg Taub

La Turner è un’attrice di primordine. Vera, pazza, fiera di essere una madre di due strambi adolescenti e con un marito comprensivo che accetta di rimanere accanto alla moglie killer. In un’America più fuori di testa che mai, Waters sceglie come far morire le sue vittime, provando un piacere sottile e sublime. Con la smania e la frenesia degli americani quasi morbosa e mai sazia di casi di cronaca nera, lo spettatore potrà vivere avendo la percezione che la deliziosa vicina di casa potrebbe essere in realtà una feroce assassina seriale. In un crescendo di ilarità e follia e sebbene nel 1994 il regista non abbia ottenuto il meritato plauso né lo stesso cast, a mio parere oltremodo ben assortito, dopo quasi trent’anni non ha perso quella bellezza visiva e ‘gore’ e quella voglia di raccontare come solo un regista della sua risma avrebbe potuto creare.

Cosa dire di più se non buon film e attenti alla vostra vicina di casa!

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Filippo Kulberg Taub

Studioso e appassionato di cinema internazionale. Ha dedicato i suoi studi alle grandi figure femminili del cinema del passato specializzandosi alla Sapienza di Roma nel 2007 e nel 2010 su Bette Davis e Joan Crawford. Nel 2016 ha completato un dottorato di ricerca in Beni culturali e territorio presso l’Università di Roma, Tor Vergata con una tesi sull’attrice israeliana Gila Almagor. Ha scritto diversi saggi e articoli di cinema e pubblicato l’autobiografia inedita in Italia di Bette Davis, Lo schermo della solitudine (Lithos). Oggi insegna Lettere alle nuove generazioni cercando sempre di infondere loro fiducia e soprattutto amore per la storia del cinema.

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