Probabilmente uno dei miti più belli e simbolici che intrecciano il senso dell’eros e del thanatos, la vicenda di Orfeo ed Euridice ci racconta di un amore che cerca di prevalere su ogni forza, ma che finisce inevitabilmente per confrontarsi con la morte. Una morte che, attenzione, non va intesa solo come fine, ma anche come metamorfosi, come passaggio a un’altra forma dell’esistenza. D’altronde, lo stesso Rainer Maria Rilke, all’interno delle sue “Lettere ad un giovane poeta” disse:
Perché c’è forse qualcosa che possa togliere all’amore la sua antica potenza? L’amore è forte come la morte
Orfeo, cantore e musicista, potremmo definirlo oggi un cantautore, è figlio di Apollo, dio della musica, e di Calliope, musa del canto epico. Si innamora perdutamente di Euridice, ma la loro storia viene turbata dalla figura di Aristeo, anch’egli invaghito della giovane. Non si parla di un matrimonio imposto, ma di un tentativo di rapimento: Euridice cerca di fuggire da Aristeo, ma nella corsa viene morsa da un serpente e muore. È qui che emerge il ritratto di una donna coraggiosa, che rifiuta di essere posseduta, preferendo la fuga – anche se fatale – a una vita imposta.
In preda al dolore, Orfeo decide di scendere nell’Ade, il regno dei morti. Con il potere della sua musica incanta ogni creatura, finché non ottiene da Ade e Persefone la possibilità di riportare Euridice tra i vivi. A una condizione: non dovrà voltarsi a guardarla finché entrambi non saranno tornati alla luce. Ma nel momento cruciale, Orfeo si gira troppo presto. Euridice svanisce per sempre.
Il finale è tragico: Orfeo, consumato dal dolore, viene fatto a pezzi dalle Baccanti, forse per invidia o per la sua indifferenza verso l’amore terreno. Il suo corpo finisce nel fiume e la sua anima torna nell’Ade, dove potrà finalmente ricongiungersi con Euridice nell’eternità.
Questo mito ha moltissime letture, ma quella più affascinante – e meno esplorata – è forse la potenza del destino. Un amore ostacolato, mai pienamente vissuto, acceso da una fiamma interiore che nessuna forza esterna riesce a spegnere. Viene spontaneo il confronto con certe storie – anche recenti – di donne cui è stato negato il diritto di scegliere, condannate a matrimoni decisi da altri, incapaci di sottrarsi senza perdere sé stesse, se non la vita.
Fortunatamente, oggi molto è cambiato. La donna non è più vista come un possesso da “prendere in dote”, ma come individuo capace di autodeterminazione e desiderio. Tuttavia, le resistenze culturali e sociali che ostacolano l’amore libero e autentico esistono ancora. E qui, la rilettura del mito diventa ancora più attuale.
Non tutte le interpretazioni, però, convincono. Secondo Cesare Pavese, Orfeo si volta perché ha ormai perso interesse per il passato, mentre Euridice rappresenterebbe l’indifferenza della morte. Io invece credo che il mito sia una sintesi perfetta dell’eterno ritorno tra Amore e Morte, dove Thanatos, come simbolo dell’infinito, racchiude il senso profondo del sentimento.
Chi sono, allora, le Muse e le Naiadi in questa storia? Forse rappresentano le circostanze esterne che ostacolano la piena realizzazione di un amore. Quante volte, infatti, interferenze sociali, familiari o interiori trasformano un “Io e Tu” in un “Noi” spezzato? Come ripeteva spesso un importantissimo autore, non esiste Amore senza una radice di Morte, e viceversa. È un chiasmo che continua a incantarci, a parlarci dell’umano, del desiderio, della perdita e della possibilità che anche nell’ombra resti accesa la luce del sentimento.
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