È apparso ieri in Piazza San Pietro sulla sua Papa mobile, nel giorno di Pasqua, come a confortare tutti quei fedeli che, da mesi, erano in apprensione per il suo stato di salute. Una sorpresa che oggi, nel bel mezzo dell’anno giubilare, ha un insolito retrogusto di presentimento. O forse no. Quel che è certo, però, è che quell’ultimo saluto che Papa Francesco ha voluto regalare alla folla è stata l’ennesima prova di un’autentica cristianità, la sua, che la casta non ha mai accettato del tutto.
Asceso al soglio pontificio il 13 marzo 2013, quello di Jorge Mario Bergoglio, 266esimo Pontefice della Chiesa di Roma, è stato un viaggio che ha preso letteralmente il via dalla fine del mondo. Ultimo fra gli ultimi, si è dimostrato abile nell’attuare profondi cambiamenti e rinnovamenti, molti dei quali, purtroppo, rimasti incompiuti, che hanno scosso la Chiesa cattolica in una direzione che in tanti, sia all’interno che dall’esterno delle mura vaticane, non si aspettavano.
Basti pensare alla sua elezione, che già di per sé rappresentò un atto quasi sovversivo: il primo Papa latinoamericano, il primo gesuita, il primo a scegliere il nome Francesco, in omaggio a San Francesco d’Assisi (simbolo di povertà e umiltà), nonché il primo a sfidare convenzioni radicate da secoli. E lo ha fatto con un atteggiamento che si pone in netta contrapposizione con l’immagine di una comunità clericale spesso percepita come distante e arrogante.
Una condotta che gli fatto guadagnare l’epiteto di “rivoluzionario”, sebbene la cosa più rivoluzionaria che abbia mai fatto sia stata proprio quella di ricordare costantemente a quella Chiesa di cui presiedeva il Seggio che è Dio ad essere superiore all’uomo, non il contrario, e che la misericordia è più potente di qualunque tradizione evangelica millenaria.
La Chiesa che Francesco sognava non era una fortezza dogmatica, ma una casa che accoglieva, senza escludere né giudicare, e sempre pronta a perdonare. Un messaggio che agli occhi del mondo ha rappresentato una breccia nel muro impenetrabile delle rigide norme ecclesiastiche. In effetti, non era raro per lui scontrarsi con un’istituzione che, nella sua burocrazia e nel suo retaggio storico-culturale, non rifletteva (e non continua tutt’ora a riflettere) i principi di povertà e umiltà che è solita predicare.
Nel corso del suo pontificato, infatti, ha provato perfino a ridisegnarla. La sua agenda di riforme ha incluso la lotta alla corruzione in Vaticano, un’attenzione crescente verso la giustizia sociale e l’ambiente, un rilancio del dialogo interreligioso e un’inedita apertura a temi controversial quali il privilegio ecclesiastico, il divorzio, l’omosessualità e il ruolo delle donne nella gerarchia del clero, suscitando entusiasmi ma anche (e soprattutto) forti resistenze.
Nonostante gli sforzi, alcuni dei suoi critici più ferventi lo hanno accusato di non aver avuto il coraggio di occuparsi delle sfide interne con la medesima forza con cui ha affrontato la realtà esterna, complice l’opposizione di quegli alti prelati che sembravano preferire una Chiesa più tradizionale, più legata alle convenzioni e ad una visione autoritaria, e che non si mettesse in discussione.
Invece, ciò che egli avrebbe voluto era una casa povera per i poveri, che fosse capace di dialogare con una società in repentino cambiamento. In altre parole, di stare al passo con i tempi. La sua visione era in netta contrapposizione con una Chiesa che esercita ancora un determinante potere economico e una certa influenza in diversi ambiti globali, tant’è che la sua insistenza sulla separazione tra il potere temporale e spirituale, sulla condanna dei “mercanti nel tempio”, non è stata gradita da chi ha sempre preferito un approccio più pragmatico e meno idealista.
In un epoca di corsi e ricorsi storici, di fragilità e preoccupante inquietudine, il Papa argentino ha incarnato una figura di pastore che, più che autorevole, ha scelto di restare vicino alla gente, talvolta distante dalle sontuosità di Roma e al tempo stesso capace di farsi ascoltare in ogni angolo del pianeta, lasciando dietro di sé un’eredità che in pochi saranno pronti a raccogliere.
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