Cultura e Spettacolo

Prime Video propone “Il Signore delle formiche”, classica lesson-learned da un caso di cronaca

Se davanti a un’ingiustizia sei neutrale, hai scelto di stare dalla parte dell’oppressore. (Desmond Tutu)

La vicenda di Braibanti degli anni Sessanta, da cui ha preso spunto la trasposizione cinematografica Il signore delle formiche nel 2022 (Trailer) è una di quelle “classiche” lesson learned con cui l’aggettivo “classica” non appare di troppo. 

Quell’esperienza giudiziaria ha permesso al Belpaese – di Dante, Petrarca e Stoppani (di cui ricorre il bicentenario della nascita il prossimo 15 agosto), – di superare e rendere anacronistico il reato di plagio (ex. art. 603), concepito dal regime autoritario di Mussolini e applicato per la prima volta nella condanna comminata ai danni di Aldo Braibanti (1922-2014), con la pena di primo grado pari a 14 anni di carcere, che saranno ridotti a nove nel secondo grado di giudizio.

Nel titolo del film, con una scelta a mio avviso assolutamente geniale, si sottolinea l’interesse del protagonista, professor Braibanti (personificato dall’attore Luigi Lo Cascio) per questi insetti, insignificanti ai più, ma studiati fin dall’antichità in relazione alla complessità del comportamento sociale (N.d.R. scienza detta ‘mirmecologia’). Lo studioso del comportamento delle formiche, il mirmecologo, viene oggettivato nel suo interesse specioso (la mirmecologia) sin dai primi fotogrammi.

Lo stratagemma comunicativo serve forse a legittimare quello sfottò popolare, intra-partito (PCI), verso un compagno (ovviamente di sinistra), già partigiano. Un’ironia apparentemente spontanea, innocua, ma che sapientemente il regista ha saputo anteporre alla fabula, come anticipatrice di una più pericolosa “ironia” e atteggiamento denigratore, quella “che si deve” rivolgere verso “lo schifo”. Epiteto feroce con cui una dirigente donna, una “compagna doc”, giunta dalla Russia, ha voluto classificare la vicenda giudiziaria di Braibanti, o meglio, la sua “omosessualità”. Per essere storicamente precisi, dobbiamo riferirci alla Russia, intesa come Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR).

 

Un frame del film Il signore delle formiche

Gli invertiti

I compagni locali, quelli della “Festa del dell’Unità”, smettono di esserlo perché sono “invertiti” (sessualmente). Il lemma, introdotto nell’intreccio del film, è usato per apostrofare il prof. Braibanti. Fatto curioso, e forse non casuale, viene messo in bocca a un meridionale, il fidanzato della cugina del giornalista, nel film Ennio Scribani (nella realtà il giornalista è stato Paolo Gambescia). Cioè un attore non protagonista, con un ruolo più che marginale, nel film presentato come proveniente dalla stessa provincia del regista Amelio, Catanzaro.

I più “civili”, gli emiliani e i romagnoli, nei dialoghi, sempre con una certa cautela e imbarazzo, usano il termine dotto: “omosessuali”. Emblematica, tuttavia, la scritta che compare sulla facciata dove risiedeva la madre di Braibanti, “LA CASA DEL CULATÒN”, forse a svelare uno specchio sociale equamente degradato, sia al nord che al sud. Il combinato disposto, tra la stranezza di un interesse per le formiche e l’omosessualità dello stesso Braibanti, genera il mostro da abbattere.

Lo strumento per condannare l’omosessualità è il reato di plagio, sino ad allora mai applicato. Le Feste dell’Unità, è necessario un richiamo storico-culturale, sono nate il 2 settembre 1945, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La prima festa si tenne nei comuni di Mariano Comense e Lentate sul Seveso in Lombardia, e fu chiamata “Grande scampagnata dell’Unità”. Queste feste furono inizialmente organizzate dal Partito Comunista Italiano (PCI) per finanziare il loro organo ufficiale di stampa, l’Unità.

In che paese viviamo?

Il film, presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2022, e in questi “Tempi Moderni” distribuito da Prime Video, senza voler “spoilerare” alcunché per chi ancora non l’avesse visto, vuole essere uno specchio della società italiana degli anni Sessanta. Ma siamo sicuri di aver abbandonato lo stigma dell’omosessualità e del reato di plagio? La vicenda di Aldo Braibanti è davvero emblematica e rappresenta un momento cruciale nella storia giudiziaria e sociale italiana.

La condanna per plagio, un articolo di legge del periodo fascista, ha messo in luce le profonde discriminazioni e pregiudizi arrivati indenni sino agli anni Sessanta con la complicità di molte agenzie culturali del nostro paese. Il film di Gianni Amelio sembra voler riflettere su questi temi, utilizzando la figura del mirmecologo per sottolineare l’assurdità e l’ingiustizia della persecuzione subita da Braibanti. Nonostante i progressi fatti, è importante chiedersi se la società abbia davvero superato certi stigmi. 

La funzione sociale del film “Il signore delle formiche”

Il film di Amelio può servire come un promemoria potente della necessità di continuare a combattere per l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani. Ogni tanto vi sono istanze di retroguardia che vorrebbero reintrodurre il reato di plagio, sembra assurdo, ma l’Italia è anche questo, c’è spazio anche per i gruppi settari che vorrebbero farci sprofondare nel medioevo intellettuale fascista. La società deve imparare dalle lezioni del passato per evitare di ripetere gli stessi errori. È fondamentale promuovere una cultura di inclusione e rispetto, affinché nessuno debba più subire ingiustizie simili.

 

Poster film Il signore delle formiche

Storia del reato di plagio

I maggiori intellettuali d’Italia si schierarono contro la sentenza di condanna per plagio: da Alberto Moravia a Mario Gozzano, da Umberto Eco ad Adolfo Gatti, da Pier Paolo Pasolini a Carmelo Bene, da Elsa Morante a Marco Pannella (a fronte invece di un certo imbarazzato silenzio della sinistra parlamentare). Eppure, dovettero trascorrere molti anni dopo il caso Braibanti prima che la più alta corte di Giustizia del nostro paese trovò il modo di liberarci del reato di plagio.

L’occasione fu la questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso del processo relativo al caso di Emilio Grasso, anch’egli imputato del reato di plagio. Nella sua teorizzazione con quel reato si volevano punire coloro che sottoponevano una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione. I giudici della Corte Costituzionale si resero conto (anche loro) che tale ipotesi di reato contrastava con il principio di tassatività della fattispecie, contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale, consacrato nell’art. 25 della Costituzione. Sentenziarono quindi che tale reato fosse da ritenersi “costituzionalmente illegittimo” (sentenza n. 96 del 9 aprile 1981, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 158 il 10 giugno 1981).

C’è chi propone la reintroduzione del reato di plagio

È indubbio che alcune persone possano approfittare della vulnerabilità psicologica di altre per trarne vantaggi personali, spesso con conseguenze devastanti per le vittime. I casi più eclatanti sono spesso riconducibili a psichiatri e psicoterapeuti, che in nome dell’autorità che il sistema riconosce loro in virtù di un certificato di laurea, commettono crimini disumani e degradanti. È importante che la legge protegga le persone da tali abusi. La storia di Aldo Braibanti ci insegna quanto sia pericoloso utilizzare leggi vaghe per perseguire individui in modo ingiusto.

Oggi, anche solo pensare alla reintroduzione del reato di plagio è anacronistico, poiché rappresenta un ritorno a un’epoca di ingiustizie e persecuzioni che la nostra società ha superato con grande fatica e progresso.

Un’altra denuncia della pellicola “Il signore delle formiche”: la psichiatrizzazione dell’omosessualità

Nel film c’è un’altra denuncia degli anni Sessanta: l’utilizzo di elettroshock per “curare” il grande disturbo, l’omosessualità. Ettore Tagliaferri, omosessuale e amante del protagonista principale, finisce per subire abusi psichiatrici, mascherati da “terapia & cura, per il proprio bene”. La mia opinione è che nei nostri “Tempi moderni” ci sia un indebito spazio per tali esperimenti non del tutto esauriti in quell’epoca.

L’elettroshock, un’invenzione Made in Italy [sic] , è un abominio. Nel 1938, Ugo Cerletti sperimentò l’elettroshock collocando gli elettrodi alla testa di un uomo, dopo aver osservato in un macello romano come i maiali venissero tramortiti con il passaggio dell’elettricità nel cervello, tanto da essere resi più docili e pronti all’uccisione. Friggere il cervello di una persona applicandovi degli elettrodi e una scarica di corrente può essere considerata una “Terapia”? Di fatto è “tortura”.

Oggi, più carinamente la pratica è “acronimizzata” Tec (Etc in lingua inglese), meno spaventosa della denominazione classica “elettroshock”, divenuta col tempo anche “Terapia Elettroconvulsiva”. Monitorare l’attività sperimentale di tali “professionisti” dell’elettricità in tutte quelle cliniche italiane in cui viene ancora somministrata come cura, potrebbe costituire un primo passo per limitare gli abusi, e contribuire a invertire la tendenza mortifera della psichiatrizzazione dell’omosessualità. 

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Renato Ongania

Studioso di comunicazione, semiotica e vessillologia. Esploratore, attivista culturale e saggista. Già consigliere comunale e militante radicale "contro la pena di morte". Laurea in relazioni pubbliche (Iulm, Milano), diplomi di alta formazione nel pensiero filosofico di Tommaso d’Aquino e Anselmo d’Aosta presso atenei pontifici; “Esperto in criminologia esoterica”, master in bioetica. Tra i suoi interessi di ricerca: diritti umani, peace studies, hate speech online, analfabetismo religioso. Da oltre dieci anni Ministro della Chiesa di Scientology e rappresentante italiano dello scrittore statunitense L. Ron Hubbard.

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