Ammalarsi al giorno d’oggi potrebbe essere quasi considerato un lusso per pochi. Parlo di “lusso” dal momento che sono molte le problematiche legate alla sanità pubblica. Basti pensare all’evidente carenza di servizi immediati oppure alle liste d’attesa piuttosto lunghe che non permettono ai cittadini di potersi curare o visitare in tempi rapidi. O ancora, al messaggio sempre più ricorrente: “privatamente domani, attraverso il servizio nazionale tra 8 mesi minimo”, e magari perfino con lo stesso medico, nello stesso ospedale e nel medesimo studio.
La salute è il primo dovere della vita – Oscar Wilde
Inoltre, spesso e volentieri diverse strutture ospedaliere utilizzano i propri professionisti per “importare” pazienti provenienti da fuori Regione, un compito “extra” per il quale sono lautamente pagati e che rende il doppio di quello che costerebbe per i cittadini locali. Per non parlare delle discrepanze di opportunità, funzionalità ed efficienza tra il Nord e il Sud dell’Italia, le quali fanno sì che i residenti nel Mezzogiorno, complice anche il sovraffollamento degli ospedali e la loro inadeguatezza a rispondere alla domanda, si rivolgano agli indotti del Settentrione con conseguente dispendio di notevoli risorse economiche.
A tal proposito, La Lega di Roberto Calderoli ha presentato una nuova riforma, ossia l’autonomia differenziata, sulla quale sarebbe necessario fare un po’ di chiarezza per capire anche in che modo quest’ultima andrà ad incidere sul servizio sanitario nazionale.
Innanzitutto, è bene sottolineare che l’Autonomia è presente in Costituzione dal 2001 e che il DDL attuale si propone, o perlomeno queste dovrebbero essere le sue intenzioni, di metterla in pratica. In più, il voto favorevole dei parlamentari meridionali è stata la garanzia che non si tratta di una riforma contro il Sud. Al contrario, di un’occasione importante per il Meridione affinché ci sia un cambio di rotta rispetto ad anni di decrescita e mala-gestione.
Come approvato dal Parlamento italiano già diversi anni fa, in realtà suddetta riforma ha avuto il via libera attraverso l’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione, che prevede la possibilità per le Regioni di ottenere forme e condizioni di autonomia attraverso un’intesa con lo Stato. Queste, in sintesi, dovranno garantire comunque i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) superando la logica della spesa storica, una delle principali cause del gap attualmente esistente tra Nord e Sud.
Tra l’altro, la riforma è affidata a trattative che si avvieranno tra Stato e Regioni nei prossimi due anni. Nel frattempo, però, i cittadini del Sud con estrema fiducia devono porsi le seguenti domande: come si vive oggi nel Meridione? Meglio o peggio del Centro-Nord? Quali sono attualmente le condizioni della sanità pubblica, dei trasporti, dei servizi, delle strade, del funzionamento della pubblica amministrazione? Di chi sono le responsabilità?
Fino a quando il Sud non avrà il coraggio di alzare la testa, mediante un processo di auto-responsabilizzazione e auto-governo, sarà sempre condannato a dipendere dagli altri, a chiedere soldi che arrivano ma poi vengono spesi male com’è accaduto fino ad ora. Una piccola riflessione va fatta: chi si impoverisce davvero, le regioni meridionali con le poche strutture esistenti e con la carenza di personale medico oppure le grandi regioni con le centinaia di strutture e altrettanto personale medico?
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