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Sette note in nero (1977), il film che rinnovò un cinema stantio e antiquato

Sette note in nero: Inghilterra, 12 ottobre 1959, 11:45. Una giovane donna è alla guida della sua macchina bianca che la sta portando verso le scogliere di Dover. La donna, quasi in uno stato di incoscienza, scende dalla macchina e si avvicina sul bordo della scogliera.

La trama

Firenze, 12 ottobre 1959, 11:45. La piccola Virginia (Fausta Avelli) è in gita con la scuola. Mentre è con i compagni e con la sua maestra su una terrazza a vedere la cupola del Brunelleschi da lontano, inizia a fissare un punto e riconosce a distanza i capelli di sua madre. La donna nel guardare giù dal dirupo ha un mancamento e cade di sotto morendo all’istante. Sebbene madre e figlia siano a kilometri di distanza, la bambina vede la madre morire e ne rimane scioccata. Passano gli anni e ora, Virginia (Jennifer O’Neill) diventata adulta, è sposata da poco con il ricco toscano Francesco Ducci (Gianni Garko) e si è trasferita nella campagna senese. Va spesso a trovare il suo amico psicologo e confidente, Luca Fattori (Marc Porel) segretamente innamorato di lei.

Locandina ufficiale/Credit: Filippo Kulberg Taub

A causa di un impegno di lavoro all’estero del marito, Virginia decide di spostarsi temporaneamente in una delle proprietà di Francesco ed essendo restauratrice, iniziare dei lavori d’interni di rinnovo.

Sulla strada che la conduce alla villa, la donna ha però dopo anni, un’altra visione, all’interno di una galleria che sembra non finire mai. Vede una donna uccisa e murata, una rivista, un taxi giallo, una sigaretta accesa e il suono di un carillon. Sconvolta, torna alla villa per riprendersi e si concentra sui lavori di ristrutturazione finché non riconosce, in una delle stanze, proprio il muro della sua visione. Da quel momento, la vita di Virginia, di Francesco e di Luca cambierà per sempre spingendo la donna a correre contro il tempo a suon del misterioso carillon.

Il ritorno alla regia di Fulci con “Sette note in nero”

Lucio Fulci torna alla regia di film thriller dopo lo spettacolare Non si sevizia un paperino (1972), regalando quello che da molti critici cinematografici è considerato il suo testamento. Sette note in nero non è un semplice giallo né un film dell’orrore. È qualcosa che non può essere ascritta, annoverata in un libro di cinema. Capolavoro per eccellenza del Maestro Fulci, forse un po’ troppo ispirato al precedente film di successo Profondo rosso (Dario Argento, 1975) ma che non si concentra esclusivamente sugli effetti gore di uno slasher movie.

Sette note in nero è un film che ancora oggi riesce a stupire lo spettatore per i suoi innumerevoli colpi di scena. Tratto liberamente dal romanzo Terapia mortale del poliedrico Vieri Razzini fu modificato nella sceneggiatura più volte grazie all’intervento del grande Dardano Sacchetti che si ispirò anche al racconto di Edgar Allan Poe, Il gatto nero.

Un cast d’eccezione

Gli attori sono perfettamente credibili. Primeggia tra tutti la splendida attrice brasiliana Jennifer O’Neill (Quell’estate del ’42, Robert Mulligan, 1971) dagli sguardi allucinati e preoccupati ma che vuole andare oltre il normale e il banale per scoprire la verità. Marc Porel, bellissimo, dallo sguardo sornione, doppiato da Pino Colizzi è il suo aiutante buono che non si arrende e che arriva a credere ai poteri extrasensoriali della protagonista.

Frame del film con alcuni dei protagonisti/Credit: Filippo Kulberg Taub

Una pellicola graffiante, un finto ‘giallo’ che si tinge di nero come le sette note del motivo principale del film curate dal terzetto Fabio Frizzi, Franco Bixio e Vince Tempera che vi lascerà sempre con il fiato sospeso. Le ore di angoscia vissute da Virginia e dal resto dei personaggi è solo uno degli espedienti narrativi del compianto Fulci, da sempre bistrattato dalla critica ma rivalutato negli ultimi quindici anni.

Il regista Quentin Tarantino, anni dopo, renderà omaggio alla pellicola e alla superlativa colonna sonora, nel film Kill Bill! Vol.1 (2003), per non dimenticare mai il regista romano che si autodefinì un ‘terrorista del genere’ proprio perché aveva deciso di andare controcorrente, modificando, alterando e forse così migliorando una visione del cinema stantia e antiquata.

Buona visione a tutti e attenti al suono del carillon!

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Filippo Kulberg Taub

Studioso e appassionato di cinema internazionale. Ha dedicato i suoi studi alle grandi figure femminili del cinema del passato specializzandosi alla Sapienza di Roma nel 2007 e nel 2010 su Bette Davis e Joan Crawford. Nel 2016 ha completato un dottorato di ricerca in Beni culturali e territorio presso l’Università di Roma, Tor Vergata con una tesi sull’attrice israeliana Gila Almagor. Ha scritto diversi saggi e articoli di cinema e pubblicato l’autobiografia inedita in Italia di Bette Davis, Lo schermo della solitudine (Lithos). Oggi insegna Lettere alle nuove generazioni cercando sempre di infondere loro fiducia e soprattutto amore per la storia del cinema.

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