Esiste un luogo, tra la mente e l’abisso, dove la solitudine si trasforma in compagnia. Non è religione, non è delirio, non è allucinazione e neppure poesia. Anzi, si tratta di un fenomeno strano ma vero, documentato e vissuto principalmente da chi si è trovato sull’orlo del baratro (non solo figurativamente, ma anche (e soprattutto) letteralmente). Si chiama Sindrome del Terzo Uomo o Fattore Terzo Uomo. E no, non ha nulla a che fare con Orson Welles o i film in bianco e nero.
Nel mezzo dell’inverno ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate – Albert Camus
Tutto inizia con una voce. O chissà, forse pure una presenza. Magari un passo che si aggiunge ai tuoi, oppure la netta sensazione che qualcuno ti stia accanto. Ti parla. Ti incoraggia. Ti dice cosa fare. E, nella maggior parte dei casi, ti salva la vita. Eppure, nel momento in cui ti giri, fosse anche solo per ringraziarlo, in realtà ti accorgi che accanto a te non c’era effettivamente nessuno.
Il primo a parlarne in termini concreti fu l’esploratore britannico Sir Ernest Shackleton. Era il 1916, e lui e il suo equipaggio stavano attraversando le terre gelate dell’Antartide dopo un naufragio disastroso. A un certo punto, durante una delle marce più estenuanti della sua vita, avvertì chiaramente la presenza di un’altra persona, oltre ai suoi due compagni. Qualcuno che camminava accanto a lui. Qualcuno che, pur non essendo visibile, era realmente lì. Lo raccontò con lucidità e senza paura di essere preso per folle. Da allora, il fenomeno è stato segnalato da alpinisti sull’Everest, astronauti nello spazio, naufraghi alla deriva, sopravvissuti a incidenti aerei e perfino da persone in coma o in gravi stati di shock.
Tutti riportano la stessa cosa: nel momento più disperato, quando il corpo cede e la mente vacilla, qualcuno appare. Non è un’allucinazione confusa, ma una presenza chiara, distinta, spesso e volentieri empatica. Non terrorizza, non disorienta: guida, protegge, dà speranza.
Naturalmente, la scienza ha provato (e continua tutt’ora a provare) a fornire le proprie spiegazioni a riguardo. Secondo alcuni neurologi, si tratta di un meccanismo di difesa della mente. Quando il cervello è sottoposto a uno stress estremo — fame, freddo, solitudine, paura di morire —, attiverebbe circuiti inconsci che generano questa “compagnia”. Un’allucinazione positiva, potremmo quasi dire. Sfortunatamente, però, il termine allucinazione sembra quasi riduttivo, se non addirittura errato. Perché nella Sindrome del Terzo Uomo non c’è confusione né panico. C’è, al contrario, un’intensa lucidità. In più di un’occasione, in effetti, è proprio grazie a questa “figura” — invisibile, ma percepita come profondamente reale — che molte persone riescono a prendere decisioni cruciali per sopravvivere.
Altri scienziati, invece, parlano di una sorta di proiezione del sé, una “coscienza ausiliaria” che emerge per dividere il peso dell’esperienza estrema. Altri ancora azzardano teorie sul cervello che, isolato dalla stimolazione sensoriale, “riempie il vuoto” con un alter ego. Ma nessuna spiegazione è del tutto convincente. E, soprattutto, nessuna riesce a spiegare perché, in certi casi, il Terzo Uomo conosce cose che la persona stessa ignora: come trovare una via d’uscita, quando riposare, quando fermarsi. È solo intuito? È memoria profonda? Oppure qualcos’altro?
C’è chi, ovviamente, interpreta tutto questo in chiave spirituale, tant’è che in molti alludono ad un angelo custode mentre altri allo spirito di una persona cara. A tal proposito, diversi sopravvissuti affermano di aver riconosciuto la voce di un parente defunto, o di un amico che non c’era, e, in ciascun caso, ognuno di loro dichiara che la percezione di tale presenza non li ha minimamente spaventati. Come se non si trattasse di un’ombra minacciosa, ma di una presenza benevola, quasi amorevole. È un conforto nell’oscurità, una mano invisibile che afferra la tua quando stai per cadere.
In un mondo dove siamo sempre più abituati a misurare tutto, dalla frequenza cardiaca al sonno, dai passi quotidiani al battito d’ali di un satellite, il Terzo Uomo ci riporta all’idea che non tutto è quantificabile. Esiste forse uno spazio segreto della coscienza umana che si attiva solo quando siamo davvero soli? È un retaggio evolutivo? O è il segno che, nel momento del bisogno, l’Universo ci restituisce compagnia in una forma che non sappiamo ancora comprendere?
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