Ci abbiamo pensato. E ci abbiamo ripensato. Pubblicare o non pubblicare quella foto che ritrae Sophia Loren abbracciata ad Albano Carrisi in un incontro privato avvenuto nella casa dell’attrice a Ginevra? Un momento semplice, intimo, forse anche un po’ fragile, reso pubblico dal fotografo Daniel Iseli, che ha catturato due icone della cultura popolare italiana sorridenti, autentiche, reali. Carrisi ha detto che quella foto era privata, e lo capiamo. Ma quando un’immagine diventa simbolo, quando tocca corde collettive, supera i confini dell’intimità e si trasforma in qualcosa di più. E noi, alla fine, l’abbiamo pubblicata e ci scusiamo anticipatamente se le parti in causa possano sentirsi colpiti da questo. Ma se l’abbiamo fatto non è stato per violare, bensì per omaggiare. Non per mostrare la “decadenza”, come da qualcuno è stata definita, ma per celebrare una regina.
Perché la Loren non ha solo vissuto: ha attraversato decenni di storia, di cinema, di costume, portando con sé un’Italia intera. E oggi, a novant’anni, il suo volto è ancora una storia da raccontare. Solo che questa volta la storia non è scolpita nei fianchi o nei sorrisi da copertina, ma nelle rughe, nello sguardo che conosce la vita, nella bocca che forse si piega meno simmetricamente ma che ha detto più verità di mille immagini ritoccate.
Eppure, appena la foto è circolata, si è scatenata la solita, feroce danza del disprezzo. “Com’è invecchiata”, “com’è cadente”, “com’è cambiata”. Sì, è invecchiata. Come noi. Come tutti. Ma perché mai questo dovrebbe essere uno scandalo? Perché Sophia Loren non può invecchiare come chiunque altro? Perché pretendiamo che resti eternamente ferma nel tempo, cristallizzata nel mito, come se il tempo potesse essere sospeso solo per lei?
La verità è che nessuno ha detto una parola sull’aspetto di Albano. Non ce ne voglia il Leone di Cellino San Marco, sia chiaro, ma nessuno si è indignato per le rughe, i capelli diradati, la voce appesantita dal tempo. Come lui, tanti altri uomini del panorama italiano e internazionale sono invecchiati sotto gli occhi del pubblico, spesso portati in trionfo per la loro “saggezza”, il loro “fascino maturo”. Ma per le donne, soprattutto per le donne simbolo, vale un’altra regola. Devono restare giovani. Devono restare come le abbiamo lasciate nel nostro immaginario, come poster incollati alle pareti della memoria collettiva. E se osano cambiare, se osano vivere davvero, allora diventano bersagli.
È una crudeltà culturale, un meccanismo tossico e profondamente sessista che dobbiamo avere il coraggio di denunciare. Perché è questo lo scandalo, non l’invecchiamento. Lo scandalo è che nel 2025 ci sia ancora bisogno di difendere una donna per il solo fatto di avere novant’anni. Di dire che la sua bellezza non è svanita, ma si è trasformata, si è approfondita, si è arricchita. Ode alla vecchiaia, allora. Ode alla dignità di un volto che non ha paura di mostrarsi com’è. Ode a Sophia Loren, che anche in quella foto – forse privata, forse no – ci ha insegnato una volta ancora cosa significa essere una vera diva: accettare la vita, tutta, anche quando la luce si fa più morbida e il corpo più fragile.
E se l’abbiamo pubblicata, quella foto, è solo per questo: perché merita di essere vista. Merita di essere riconosciuta. E perché ogni donna, guardandola, possa sentirsi un po’ più libera di invecchiare a sua volta, senza dover chiedere il permesso.
Ogni donna può figurare al meglio se sta bene dentro la propria pelle. Non c’entrano i vestiti ed il trucco, ma come si brilla – Sophia Loren.
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