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Un sussurro nel buio (1976), un pellicola a metà strada tra il gotico e il thriller psicologico

Un sussurro nel buio, diretto da Marcello Aliprandi nel 1976, è un film che incarna un raro connubio di suspense psicologica, atmosfera gotica e simbolismo psicanalitico. Sebbene non goda della notorietà di altri capolavori del cinema italiano degli anni Settanta, questa pellicola rappresenta un’opera di grande valore per gli appassionati di cinema di genere, rivelandosi un raffinato studio dell’inquietudine umana, incorniciato in un contesto familiare sinistro.

La trama

La vicenda ruota attorno a Martino, un bambino di circa 9 anni che vive con la sua famiglia in una villa aristocratica immersa nella campagna italiana. Martino è un ragazzino solitario e apparentemente normale, ma il suo comportamento inizia a destare preoccupazione quando racconta di avere un amico immaginario, Luca. Con il passare del tempo, l’ossessione di Martino per Luca si intensifica, e il confine tra immaginazione e realtà si fa sempre più labile.

Locandina ufficiale/Credit: web

La madre di Martino, Camilla, interpretata magistralmente da Nathalie Delon, è divisa tra il desiderio di proteggere il figlio e l’angoscia per i misteriosi eventi che si manifestano nella villa. Il padre, impersonato da un distaccato Joseph Cotten, rappresenta l’incarnazione del razionalismo e del pragmatismo che si scontrano con il mondo emotivo e inquietante di Martino.

Il microcosmo isolato di “Un sussurro nel buio”

L’atmosfera si fa sempre più tesa, e il mistero di Luca si intreccia con la psicologia dei protagonisti, fino a culminare in un finale ambiguo che lascia lo spettatore con molteplici interpretazioni. Aliprandi, già assistente di Luchino Visconti, porta in questo film un’estetica raffinata e meticolosa. La regia si sofferma sui dettagli della villa, un luogo che diventa quasi un personaggio a sé stante: un microcosmo isolato, pieno di corridoi oscuri, spazi vuoti e angoli che sembrano custodire segreti inconfessabili.

Le scelte cromatiche sono particolarmente evocative, con tonalità fredde e una fotografia rarefatta che amplifica la sensazione di alienazione. A ciò si aggiunge la colonna sonora di Pino Donaggio, celebre per le sue collaborazioni con Brian De Palma. Le musiche, che spaziano da delicate melodie di pianoforte a momenti di intensa dissonanza, sottolineano magistralmente la tensione emotiva e il senso di minaccia costante.

Tra atmosfera e psicologia

Un sussurro nel buio si colloca a metà strada tra il gotico classico e il thriller psicologico, evocando atmosfere che ricordano tanto Suspense (1961) di Jack Clayton quanto Il giro di vite di Henry James, da cui Clayton aveva tratto ispirazione. Tuttavia, Aliprandi arricchisce la narrazione con un sottotesto psicoanalitico che esplora il rapporto tra genitori e figli, la paura dell’abbandono e il potere distruttivo dell’immaginazione infantile.

Martino è un personaggio enigmatico, un concentrato di innocenza e inquietudine. Il suo rapporto con Luca, che inizialmente sembra essere una manifestazione innocua della fantasia infantile, si evolve in qualcosa di molto più sinistro. Questo elemento porta lo spettatore a interrogarsi sulla natura di Luca: è una proiezione della mente di Martino? Un’entità soprannaturale? Oppure un sintomo di un trauma familiare non espresso?

Il cast

Frame della pellicola/Credit: web

Il film vanta un cast di alto livello, che unisce talenti italiani e internazionali. Nathalie Delon offre un’interpretazione intensa e complessa, dando vita a una madre intrappolata tra amore, paura e senso di colpa. Joseph Cotten, veterano del cinema hollywoodiano e star di Quarto potere (1941), aggiunge una dimensione di autorevolezza e ambiguità alla figura del padre.

La giovane età e il talento di Alessandro Poggi, che interpreta Martino, contribuiscono a rendere il personaggio ancora più affascinante e inquietante. Nonostante la trama apparentemente semplice, il film affronta tematiche universali con un approccio unico. L’infanzia, spesso considerata un periodo di innocenza e spensieratezza, viene qui ritratta come una fase della vita carica di mistero e potenziale oscurità. La famiglia, fulcro della narrazione, è mostrata non come un rifugio sicuro, ma come un luogo di tensione e incomunicabilità.

L’ambiguità come tratto distintivo

L’ambiguità che permea il film è uno dei suoi tratti distintivi. Aliprandi non offre risposte chiare, preferendo lasciare spazio alla suggestione e all’interpretazione personale. Questo approccio, pur rischioso, contribuisce a rendere il film un’esperienza profondamente immersiva. Un sussurro nel buio è stato a lungo relegato ai margini del panorama cinematografico italiano, ma negli ultimi anni ha iniziato a guadagnare una nuova attenzione grazie alla rivalutazione del cinema di genere degli anni Settanta. Le sue atmosfere raffinate, l’attenzione ai dettagli e la capacità di evocare emozioni complesse lo rendono un’opera che merita di essere riscoperta.

Per gli appassionati di cinema gotico e psicologico, il film rappresenta una tappa obbligata, un’opera che, pur nella sua relativa oscurità, illumina il talento di Marcello Aliprandi e il potenziale inesplorato del cinema italiano dell’epoca.

Questo gioiello di cinema gotico dimenticato non rappresenta soltanto un film, ma un viaggio nell’inquietudine e nella fragilità dell’animo umano. Con la sua regia elegante, il cast di qualità e un’atmosfera che rimane impressa nella mente, il regista romano Aliprandi ha creato un capolavoro dimenticato che merita di essere celebrato come una delle gemme nascoste del cinema italiano degli anni Settanta. Buona visione!

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Filippo Kulberg Taub

Studioso e appassionato di cinema internazionale. Ha dedicato i suoi studi alle grandi figure femminili del cinema del passato specializzandosi alla Sapienza di Roma nel 2007 e nel 2010 su Bette Davis e Joan Crawford. Nel 2016 ha completato un dottorato di ricerca in Beni culturali e territorio presso l’Università di Roma, Tor Vergata con una tesi sull’attrice israeliana Gila Almagor. Ha scritto diversi saggi e articoli di cinema e pubblicato l’autobiografia inedita in Italia di Bette Davis, Lo schermo della solitudine (Lithos). Oggi insegna Lettere alle nuove generazioni cercando sempre di infondere loro fiducia e soprattutto amore per la storia del cinema.

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