Nel 1791, pochi mesi prima di morire, Mozart confidò alla moglie il sospetto di essere stato avvelenato con “l’acqua tofana“, un veleno noto già in età rinascimentale ed evidentemente ancora in auge nel secolo dei Lumi. La causa effettiva della morte del compositore non fu mai stabilita con certezza ma, anche se la tesi dell’avvelenamento fu scartata come non probabile, la sua preoccupazione lasciava intendere come i casi di morte provocati da veleni, e da mani femminili, fossero tutt’altro che infrequenti. Anche sulla morte di Papa Benedetto XIII (Papa Orsini), nel 1730, gravò il sospetto dell’avvelenamento con la medesima sostanza.
La donna è un enigma da cui non si esce senza danno – Søren Kierkegaard
Per risalire alle origini dell’acqua tofana bisogna esplorare la Palermo del XVII secolo, dove una certa Thofania d’Adamo, nata e vissuta in un quartiere tra i più poveri e malfamati della città, fu giustiziata il 12 luglio 1633 per aver avvelenato il marito Francesco. Thofania appartenne ad una rete di streghe, avvelenatrici e fattucchiere che agivano nella Sicilia del Seicento. A lei si attribuì, infatti, l’invenzione di un potente veleno, poi denominato acqua tofana o “acqua tufanica” o ancora “manna di San Nicola”, perché veniva imbottigliato in boccette decorate con l’immagine del santo.
La donna aveva una figlia, o una nipote che ha cresciuto come figlia, di nome Giulia che, secondo alcune fonti, l’aveva spesso aiutata nella preparazione di sostanze di dubbio impiego. Giulia crebbe bellissima, poverissima, senza alcuna istruzione, con un carattere assai spregiudicato e in possesso di “un’arte” che ella trasformò in quello che in termini moderni si definisce business, cambiando radicalmente in pochi anni la propria vita.
A quel tempo le donne non erano nemmeno soggette di diritto e spesso si trovavano ingabbiate in matrimoni con uomini non scelti da loro, talvolta violenti, ai quali la legge assicurava la piena potestà sulle mogli. In assenza di norme che consentivano lo scioglimento del matrimonio l’uso del veleno a scopi criminali era tutt’altro che raro, specie nel mondo femminile.
E questo dato trova conferma nell’elevato numero di condanne a morte per omicidio «cum veneno propinato», come scrisse Leonardo Sciascia nell’introduzione a uno studio intitolato “I veleni di Palermo”, riferito al periodo 1160-1815. Dopo la morte di Thofania, Giulia fiutò l’affare e, complice la sua relazione con uno speziale, riuscì a garantirsi l’approvvigionamento degli ingredienti necessari per la produzione, si potrebbe dire quasi su scala industriale, di un veleno evidentemente molto richiesto e per i motivi più disparati: questioni ereditarie o di affari, tradimenti, o la volontà di numerose donne di liberarsi di compagni violenti.
Giulia Tofana fu così scoperta e giustiziata dall’Inquisizione, dopo aver ammesso di aver aiutato mote donne a disfarsi dai mariti, tra il 1633 e il 1651, almeno seicento donne. Di questa storia esistono tante versioni con dettagli sempre diversi, ma c’è una cosa che rimane costante: che sia grazie a Giulia o al lavoro incessante dei centri antiviolenza “le donne vittime di violenza non sono sole, mai.” Questa ultima frase trovata durante alcune mie ricerche sul web, ha sfondo vendicativo e credo non sia corretto utilizzare questi termini. Non a caso, in questo articolo è mia intenzione parlare anche del Thanatos che nasce dall’amore e che colpisce anche gli uomini.
Sappiamo che in passato la donna non godeva del grande valore che conosciamo oggi, lo ha conquistato nel corso degli anni, ma ovviamente non tutte sono sante, non tutte sono state e sono tutt’ora vittime di violenza. C’è una piaga che si sta allargando ed è il fenomeno della MISANDRIA: sempre più donne lottano in maniera non pacifica, per i loro diritti, demonizzando tutti i comportamenti degli uomini. Tra le più celebri donne serial killer nella stori, ad esempio, non si può non citare quella forse più nota: Leonarda Cianciulli, la Saponificatrice di Correggio.
Figlia indesiderata di uno stupro, trascorre un’infanzia triste e solitaria tra le due guerre tenuta in disparte ed evitata perfino dai fratelli. Sopraffatta dalle precarie condizioni economiche, diciassette gravidanze e dieci figli morti in tenera età, inizia a vedere nel sacrificio di vite umane innocenti l’unico modo per allontanare la paura. Leggenda vuole che una veggente l’avesse avvertita che i suoi figli ancora in vita fossero in pericolo e che avrebbe dovuto fare sacrifici umani per salvarli. La donna, proprietaria di un piccolo negozio nel centro omonimo dell’Emilia-Romagna, attirava donne nel retro per drogarle e smembrarle con un’accetta. Per evitare tracce, bolliva poi i resti nella soda caustica, trasformandole poi in sapone per regalarle, da cui il suo soprannome.
Un’ altra donna serial killer fu la palermitana Giovanna Bonanno (Palermo 1713-1789) o la vecchia, dell’aceto. Considerata da tutti una strega, un giorno ebbe l’occasione di cambiare la sua vita da un episodio casuale. Leggenda narra che, mentre la donna si trovava dall’aromatario nei una madre accorse chiedendo aiuto per la sua bambina. La piccola aveva bevuto il cosiddetto “aceto per pidocchi”, un intruglio composto da aceto e arsenico. L’aromatario fece bere dell’olio alla bambina, in modo da far rigurgitare la mistura e scampare così la morte.
Era circa il 1786 e Giovanna ebbe un’intuizione: vide in quel liquido l’occasione per ottenere grandi ricavi economici. Iniziò a vendere la sua pozione rinominata “Arcano liquore aceto”, sostenendo di poter “ridare serenità alle famiglie”. Le povere mogli infelicemente sposate potevano infatti sbarazzarsi dei propri mariti, senza lasciare traccia. A quei tempi, la medicina non aveva infatti mezzi e conoscenze necessari per accertare la causa dei decessi.
Nel quartiere Zisa iniziarono a susseguirsi morti misteriose, ma la carriera dell’assassina venne presto stroncata. Una madre, (una certa Giovanna Lombardo, amica della Bonanno), insospettita per l’improvvisa morte del figlio, finse di voler acquistare dalla amica una dose dell’Arcano liquore. La donna fu accompagnata alla compravendita da quattro testimoni, che contribuirono a cogliere Giovanna in flagrante.
Rinchiusa presso il carcere dello Steri, fu processata e condannata a morte per veneficio e stregoneria. Dai documenti del processo, risulterebbe che la presunta megera fosse realmente convinta di offrire un servizio alla comunità. La condanna riportata in primo grado fu confermata dal Tribunale della Gran Corte. Il 30 luglio 1789 l’avvelenatrice pendeva dalla forca.
Durante il processo istruito dalla Regia Corte Capitaniale di Palermo contro di lei e i suoi complici, rilascia una lunga deposizione, raccontando la scoperta degli effetti letali della lozione dell’aromatario Saverio La Monica, ossia una mistura a base di arsenico, e l’utilizzo che decise di farne, vendendola ad altre donne come “arcano liquore aceto” per essere utilizzata “ad homines occidendum”.
La storia ha una lunga lista di serial killer donne. Tra le più famose della storia ricordiamo: Elizabeth Bathory, accusata di essere una sorta di vampiro. Il marito le aveva donato una stanza delle torture per il suo divertimento sadico sulle vittime, giovani serve e figlie della nobiltà. Estremamente celebre grazie alla rappresentazione cinematografica con Charlize Theron in “Monster” è anche Aileen Wuornos. Prostituta condannata per aver ucciso sei uomini tra il1989 e il 1990, h affermato di averlo fatto in difesa dalle loro violenze.
Altre donne serial killer, forse meno note al pubblico, sono:
Anche le donne hanno gli scheletri dentro l’armadio, sicuramente erano sottomesse, non avevano libertà nella maggior parte della vita, ma come esseri umani hanno pregi e anche difetti. Facciamo le battaglie, nessuno deve toglierci il diritto conquistato, ma gli schieramenti non vanno bene. Io non sono una accanita femminista che encomia anche i misfatti delle donne trovando sempre un elemento giustificativo.
Queste donne che sono esistite, che esistono ancora oggi e che forse esisteranno, sono causa di amore che sviscera la morte da un sentimento di finzione, E’ inammissibile che si trovino o si inventino sempre cause di traumi trascorsi, allora si dovrebbero trovare anche negli uomini. Spero che i fanatismi non sfocino in misandria altrimenti potremmo parlare di sete di vendetta.
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