Ci sono storie che sembrano uscite da un romanzo d’avventura o da una sceneggiatura hollywoodiana. La vita di Violet Jessop, al contrario, è straordinariamente vera, eppure così incredibile da sembrare leggenda. Sopravvivere al naufragio del Titanic è già di per sé un evento eccezionale. Farlo dopo essere scampata ad un’altra collisione navale sull’Olympic, però, lo è ancora di più. E poi, anni dopo, ritrovarsi coinvolta pure nell’affondamento del Britannic, la nave ospedale della Prima Guerra Mondiale, e uscirne viva è qualcosa che sembra avere del soprannaturale.
Sarà forse per questo che c’è chi la chiamava “la donna inaffondabile”, a ragion veduta oseremmo dire! Tuttavia, dietro tale soprannome si nasconde molto più di un’aneddoto bizzarro da raccontare. C’è la storia di una donna tenace, pragmatica, dotata di un coraggio silenzioso; non certo di un’eroina da copertina, dunque, ma quella di un esempio vivente di come la forza interiore possa andare ben oltre la fortuna. Una vicenda, la sua, che in tanti hanno interpretato attraverso le parole di Jon Kabat-Zinn:
Non puoi controllare le onde, ma puoi imparare a surfare
Quando si leggono i resoconti sulla notte del Titanic, ci si immagina il caos, la paura, l’ignoto che divora l’oceano. Ebbene, d’ora in poi, ogniqualvolta ci ritroveremo di fronte ad uno di essi, ci ricorderemo che Violet era lì. Non come passeggera privilegiata, bensì in qualità di stewardess, al servizio degli altri. E fu sempre al servizio, anche sul Britannic, come infermiera. La sua sopravvivenza non fu passiva: agì, aiutò, resistette, persino quando, gettandosi in mare per sfuggire all’elica che risucchiava le scialuppe, batté violentemente la testa. Si salvò. Ancora una volta.
Ma Violet non cercò mai la fama. Non scrisse memorie per vendere milioni di copie, non rilasciò interviste roboanti. Al contrario, continuò “silenziosamente” a lavorare in mare, per decenni, come se il suo legame con l’oceano fosse indissolubile, anche dopo aver rischiato la vita così tante volte. Ed è questa sua normalità ostinata, il rifiuto di mitizzarsi, che l’ha resa nel tempo un personaggio così potente.
In un’epoca in cui celebriamo influencer e celebrità da reality, chissà, magari faremmo meglio a fermarci e riflettere su figure come la sua: donne comuni, ma con un destino straordinario; figure che non cercano riflettori, ma che illuminano comunque, a loro modo, la storia del Novecento. E perché no, magari anche a domandarci: la nostra sopravvivenza, o più meramente esistenza e vita, quanto è dovuta alla fortuna, e quanta alla determinazione?
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