Credit foto: ChatGPT
A parlare – o, meglio, a scrivere – è un fotografo progressista, per niente integralista/assolutista. Quindi comincio con lo scusarmi verso la sensibilità e lo sforzo nostalgico dei puristi. Ne approfitto, fin da subito, per scusarmi anche con chi si occupa dello sviluppo dell’AI per la mia probabile, e insufficiente, conoscenza in materia e la ripetuta menzione della parola, ormai da tantissimo, in trend “intelligenza artificiale”.
Ricordo quella volta in cui, in prima elementare, scoprii l’illuminante tecnica del collage. Non avevo bisogno di inzozzarmi le dita con colori vari (all’epoca rigorosamente non atossici) e non dovevo neppure preoccuparmi di impugnare come kristo-komanda un pennarello 3-4 volte più grande della mia mano. Mi insegnarono che bastava arraffare qualche pezzo di giornale raccolto in un cestino per comporre qualcosa che potesse avvicinarsi ad una bella giornata di sole o a un coniglio con una carota. Qualcosa che qualcuno adesso chiamerebbe Indy Production.
Quel prendere pezzi di immagini stampate, ritagliate da chissà quanti e quali giornali, era quella che – con qualche merito scolastico in più – ho ritrovato nel digital composing. “Il processo di assemblare digitalmente più immagini o elementi visivi per creare un’unica immagine o sequenza” (Fonte: Gemini, che, a sua volta, ha usato la fonte Wikipedia EN, che a sua volta ha usato la fonte degli editori/revisori OAbot, Neiltonks, Rjaffe, Stephenamills, Jd, 176.46.34.199).
Sembra quasi che tutto sia ormai una riciclabile matrioska a forma Uroboro, un serpente – drago che si mangia la coda, in merito al quale Orapollo racconta:
Esso è pesantissimo come la terra e scivolosissimo come l’acqua
Un girotondo di intuizioni e di proposizione che tende all’infinito tanto quanto la sua collega retta asintoto.
Allo stesso modo ci ritroviamo nell’abbondante loop catastrofista che ci racconta della maledizione attualmente inflitta al genere umano, soprattutto ai fotografi: la GenAI. “Una forma di intelligenza artificiale che produce contenuti originali, come testo, immagini, video, musica e altro ancora, in base a dati sui quali è stata addestrata” (Fonte: Gemini).
Tutti sono curiosi e in attesa dei prodigi dell’intelligenza artificiale. Tanti già la usano da tempo. Molti di più ne sono già dipendenti senza nemmeno rendersene conto. Eppure ci si perde già nella strizza che l’AI ci ruberà il lavoro.
L’introduzione all’utilizzo massificato dell’intelligenza artificiale è quel nuovo battito di ciglia evoluzionista che non dobbiamo neanche sforzarci di comprendere e assimilare approfonditamente per imparare. Fa tutto l’AI. Chiediamo e lei risponde. Corregge i nostri errori, ci insegna che l’apostrofo e l’accento sono due cose diverse (scagli la prima pietra chi non ha cercato su Google: “Come si scrive…?”)
Perché allora non dovrebbe aiutarci a migliorare o velocizzare anche la nostra visione, compresa l’intoccabile Fotografia, penultima arte dei nostri tempi?
Come per il collage, tutto prende o si ricrea da qualcos’altro (scagli la seconda pietra chi non ha preso ispirazione da Pinterest per una foto, una presentazione, un tavolino appoggia-cocktail-da-maratona-filmica).
In questo preciso istante storico, la differenza è che ci affidiamo non più a ciò che abbiamo osservato e metabolizzato visivamente altrove. L’apprendimento automatico (il machine learning) lo fa al posto nostro. Unendo e sintetizzando il pensiero, che sia nostro o falsamente presumibilmente il nostro. Non una surrogata nuova arte, semplicemente una nuova tecnica. Come è stata l’introduzione delle mescole di pigmenti rispetto allo sfregamento di una pietra su una parete di roccia (come ci insegna Jurassic Park, “la vita trova sempre un modo”. E anche la fotografia, forse, troverà il suo).
Tecnica in evoluzione, diversa, arricchita augmented rispetto alle precedenti. Di diverso c’è che prima usavamo un supporto per fermare o descrivere quello che vedevamo o immaginavamo o interpretavamo. Un foglio, una tela, un sensore dotato di ipermegapixel-filia. Adesso basta descriverlo per ottenerne una manciata di varianti del nostro proposito di visione. Il supporto è l’immaginazione (e/o una reference come aiutino).
Un fotografo guarda nel mirino. Un non-purista fotografo guarda nel mirino poi muove un mouse o batte più volte le dita su una tastiera. Un dito su un bottone che fa click in contrapposizione ultra-contemporanea con più dita che percussionano parole o CTRL su una tastiera.
L’intelligenza artificiale, per ora, influenza e può influenzare maggiormente la Fotografia digitale. Ma non contamina in nessun modo la Fotografia analogica se non in un’ipotetica e malamente assorbita competizione tra loro. D’altronde non si poteva certo pensare che la Fotografia fosse l’ultima arte. Così come non lo era la pittura o i graffiti.
[Ricordatevi sempre di diffidare da chi critica il nuovo o il diverso. Qualcuno, tempo fa, diceva che un ragazzetto che sbomboletta dei colori su un muro non può essere chiamato artista. Vero. Non tutti sono artisti. Non tutti sono Banksy]
Susan Bright, curatrice di arte fotografica al MoMA di New York, a tal proposito afferma:
Ogni nuova tecnologia ha sollevato paure simili. L’AI non distrugge la Fotografia, la costringe a fare i conti con se stessa
Dovremmo essere tutti un po’ più contenti perché l’AI permetterà di elevare il livello qualitativo e sensazionale delle immagini. Porterà i fotografi ad una sana competizione con se stessi (e non con l’AI). Quel confronto con lo specchio che si evita nel mezzo del cammin di nostra vita per paura di ritrovarsi in una camera troppo oscura.
Nel ring dell’immaginazione, AI e Fotografia continuano a danzare. Non è un knockout. È uno sparring poetico. E forse, in fondo, è proprio da questa tensione che nasceranno le immagini più belle dei prossimi decenni.
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