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Conclave 2025, “Habemus Deadline”: il 7 maggio torna il reality show di Dio, e no, il pubblico questa volta non vota!

E così, archiviati i funerali di Papa Francesco, sepolto lo scorso 26 aprile nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, tra una messa in suffragio e un festino al cocktail bar del Vaticano, roba che qualcuno deve aver preso un po’ troppo alla lettera il “prendete e bevetene tutti“, i cosiddetti “porporati” si preparano ad eleggere colui che prenderà ora in mano le redini della Chiesa cattolica. C’è chi sostiene che debba trattarsi di un successore di Jorge Mario Bergoglio e chi, al contrario, che il Vicario di Cristo sulla Terra non debba porsi necessariamente in continuità con il suo predecessore.

Per quel che mi riguarda, invece, io mi domando soltanto una cosa: può un collegio di pochi privilegiati eleggere, segretamente tra l’altro, il capo di un’istituzione che ancora oggi si definisce “comunitaria”? Perché, come diceva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo:

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

La strada per il Conclave: un gioco d’élite o un’ascesa di ceto?

Difatti, il prossimo lunedì 5 maggio 2025, alle ore 17.30, puntuali come un orologio svizzero, tutti coloro che prenderanno parte al Conclave presteranno il “giuramento solenne” nella Cappella Paolina in Vaticano. Tale rito, officiato dal Camerlengo Kevin Joseph Farrell, è rivolto unicamente a quegli ecclesiastici e a quei laici approvati per questo delicato compito, in linea con le normative vigenti della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis. Le votazioni per l’elezione di colui che dovrà ascendere al soglio pontificio, però, prenderanno ufficialmente il via mercoledì 7 maggio e, come dovere di casta ormai richiede, vedranno l’intero collegio cardinalizio, “papabili” compresi, rinchiudersi nella Cappella Sistina per esprimere la propria preferenza fino a che il verdetto finale non condurrà verso la fatidica “fumata bianca”.

Non so cosa ne pensiate voi, ma io non riesco a comprendere il motivo per il quale si debba ridurre un evento di importanza epocale, che riguarda TUTTI i cattolici, ad un reality show di seconda categoria, in cui i fortunati che sono riusciti ad arrivare in finale, diversi cardinali hanno già fatto sapere che non presenzieranno per ragioni di salute, fanno le proprie nomination nemmeno si trovassero all’interno di una versione evangelica del Grande Fratello. Di padre di tutti i reality ne abbiamo già uno e quello ci basta. Anzi, forse è pure troppo e la cosa ancor più bizzarra è che in questo caso il popolo non vota nemmeno! Perché la decisione deve spettare ad un élite quando, in passato, il Vescovo di Roma veniva eletto per acclamazione dai cittadini?

Si chiede partecipazione attiva, ma non la si concede

Anticamente, ad esempio, quelli che chiamiamo “cardinali” non erano altro che semplici parroci della Capitale ed erano loro a scegliere il Papa. In epoche più difficili, inoltre, era la popolazione, composta da quelli che in molti amano definire, dall’alto del proprio seggio, “i figli di Dio”, a scegliere il vescovo o il parroco. Basti pensare che Sant’Ambrogio venne scelto come “vescovo” di Milano dal popolo grazie ad un bambino che nella folla gridò “Ambrogio Vescovo”! Insomma, a dispetto di quel che si suole pensare, nel Medioevo le comunità cattoliche risultavano essere molto più partecipative, aperte e aggregative di quanto non lo siano adesso.

I laici prendevano parte attivamente alla vita della Chiesa, dunque, cos’è cambiato? A cosa si deve l’eccessiva clericalizzazione a cui assistiamo ormai da illo tempore? Alla presunta affiliazione di un personaggio di fede ad una corrente di pensiero (politica, filosofica o etica che sia) rispetto che ad un’altra? Nel Parlamento di Dio si può davvero distinguere tra conservatori e progressisti quando l’unica legge da rispettare è la Sua parola? Oppure, ancor più grave, si è “figli del Signore” soltanto quando si tratta di donare “l’8×1000 alla Chiesa cattolica“?

Certo, qualcuno dirà che si trattava di periodi storici diversi e con presupposti differenti, ma se un siffatto sistema è esplicitamente pensato per preservarsi, pur celandosi dietro un apparente desiderio di cambiamento, dov’è qui la costante? Eppure, il compianto Papa Francesco, facendo eco al Concilio Vaticano II, pare essersi dato parecchio da fare per riabilitare la partecipazione dei cristiani alla vita della Chiesa in virtù del Battesimo. Se alcune nomine nei dicasteri della curia romana vanno in questa direzione, perché ciò non può valere anche per il Conclave?

Chiunque può diventare Papa? Allora mi candido io!

E poi, se è vero che, secondo la legge della Chiesa, chiunque sia di sesso maschile, celibe e battezzato, può essere eletto Papa, perché quest’ultimo viene puntualmente scelto solo tra i membri del porporato alla stregua di una “promozione aziendale”, riducendo, di conseguenza, il magistero del pontificato ad un mero traguardo di casta che soltanto chi appartiene ad un determinato “ceto” può permettersi di raggiungere? Anche perché, diciamocelo, non basta essere un vescovo o un cardinale per avere le capacità adeguate a guidare un’intera comunità!

Tanto vale che mi candidi io. In fondo, di pietà ne ho in abbondanza, la Sindrome di Gesù Cristo mi ha preso sin dalla nascita e condanno quotidianamente l’umanità per i suoi peccati. Almeno per una volta, non sarebbe bello, se non altro per gli occhi, veder affacciarsi dalla loggia di Piazza San Pietro un Pontefice giovane, con la forza giusta e necessaria per attuare un reale cambiamento?

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Simone Di Matteo

Simone Di Matteo, Latina 25 gennaio 1984. Curatore della DiamonD EditricE, autore, scrittore e illustratore grafico è tra i più giovani editori italiani. I suoi racconti sono presenti in diverse antologie. Molti dei suoi libri invece sono distribuiti all'interno degli istituti scolastici italiani. È noto al grande pubblico non solo esclusivamente per la sua variegata produzione letteraria, ma anche per la sua partecipazione nel 2016 alla V edizione del reality on the road di Rai2 Pechino Express. Consacratosi come Il giustiziere dei Vip, da circa due anni grazie a L’Irriverente, personaggio da lui ideato e suo personale pseudonimo, commenta il mondo della televisione, dei social network e i personaggi che lo popolano, senza alcun timore, con quel pizzico di spietatezza che non guasta mai attraverso le sue rubriche settimanali.

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