Il 21 settembre di ogni anno, giorno in cui ricorre la “Giornata Internazionale della Pace“, rievoca nelle nostre menti, soprattutto alla luce degli sviluppi attuali più recenti, la necessità e l’urgenza di coltivare armonia tra i popoli e dentro di noi. Ma celebrarla non può limitarsi ad un gesto simbolico: occorre trasformare la memoria in azione quotidiana, dalle aule scolastiche ai cuori delle famiglie, affinché la pace diventi una pratica concreta e non un ideale astratto. Perché come ripeteva sempre Mahatma Gandhi:
Non c’è strada per la pace: la pace è la strada
La pace non può permettersi, soprattutto in questo atroce periodo di guerre, di limitarsi ad essere una mera commemorazione. Il compianto Papa Francesco (clicca QUI per recuperare il nostro articolo a riguardo) esortò più volte tutti i popoli ad impegnarsi per stabilire armonia e dialogo tra i popoli. Nella “Dilexit Nos”, ultima enciclica di Sua Eminenza, possiamo leggere:
Se ognuno pensa ai propri peccati e alle loro conseguenze sugli altri, scoprirà che riparare il danno fatto a questo mondo implica anche il desiderio di riparare i cuori feriti, dove si è procurato il danno più profondo, la ferita più dolorosa.
Nonostante l’impegno nelle scuole da parte dei dirigenti, dei docenti, degli allievi e delle famiglie, il 21 settembre sembra restare un momento ideologico da vivere ma il giorno dopo tutto sembra tornare ad una normalità in stato di assedio.
La scuola, quale prima società, è un campo minato dai genitori che pretendono dagli insegnanti i miracoli di Cana di Galilea. Ecco dove comincia la guerra, dalle famiglie che educano i figli alla aggressiva competizione. Che valora ha sventolare vessilli per la pace in una nazione del mondo quando già con il mio prossimo non riesco a condividere neanche una goccia di armonia. Ogni azione che mini la pace in ogni luogo dovrebbe essere considerata come un reato, capisco che siamo giunti al paradosso per legittimare ciò che dovrebbe essere una facoltà naturale di ogni essere umano. “La forza per far attuare la pace”, ma credo che non ci sia altra strategia, sono troppi i conflitti, sono troppe le digressioni che si creano per svincolare il tema centrale e perdere di vista la questione che molti abbiamo a cuore.
Fare luce sugli avvenimenti mondiali è il passo fondamentale per la fine di ogni ostilità tra questi popoli che, fino ad oggi, non hanno né vincitori né vinti. Nonostante tutto, la Scuola, quale fulcro della educazione civica, risponde sempre con messaggi solidali e soprattutto di coltivare la speranza. Docenti, Psicologi, Pedagogisti, non arretrano il passo, ma, secondo il mio punto di vista, non dobbiamo creare delle tifoserie che dividono in sterili terre ideologiche i temi della pace.
La pedagogista Speranza Casillo, attraverso la sua ineccepibile professione e con tutti i mezzi necessari, conferma che bisogna lavorare per rendere fertili i territori dello spirito dei discenti che saranno gli uomini e le donne di domani. La Casillo invita soprattutto i genitori a coltivare la pace tra di loro e con la scuola che è il luogo di formazione dei propri figli.
Nonostante i capi del mondo dimostrano essere sordi alle esortazioni di molti uomini di buona volontà, non bisogna demordere, a costo di spendere gran parte del tempo. Le generazioni successive devono trovarsi preparati alla ricostruzione di questo pianeta oramai alla deriva, non dobbiamo edulcorare la verità con parole vuote, la situazione è più che mai drammatica, ogni giorno si dovrebbe dedicare un’ora all’educazione alla pace, non si può solamente ricordarsi di questa giornata memorabile. In qualità di docente, mi preme fortemente porre in primo piano il senso civico della pace, quanto più si insiste tanto più la goccia della speranza scava quella pietra che sembra aver sostituito l’anima.
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