Nelle scorse settimane è passata quasi del tutto in sordina una notizia che avrebbe dovuto fare maggiormente scalpore. Tra le pagine di una nota rivista cartacea, infatti, un giornalista ha involontariamente fatto mostra di fare uso di intelligenza artificiale per scrivere i propri articoli, copiando ed incollando (e, evidentemente, non rileggendo) ciò che un software IA aveva scritto al posto suo. Ma è davvero questo il giornalismo di cui abbiamo bisogno? O forse, è quello che ci meritiamo?
I mezzi di comunicazione di massa non trasmettono messaggi: trasmettono pubblico — Marshall McLuhan
Un giornalista, si sa, o perlomeno, si dovrebbe sapere, è qualcuno che appresa un’informazione deve verificarla, elaborarla, contestualizzarla, e poi renderla fruibile al vasto pubblico, ovvero, a quella grande massa considerata culturalmente inferiore e a cui bisogna servire l’informazione in modo elementare, o come si diceva una volta: già masticata. Esistono specifiche tecniche di stesura dell’articolo giornalistico che, di fatto, di giornalistico hanno ben poco, in quanto riguardano perlopiù il neuromarketing.
Al solo passare dell’occhio sul grassetto di un titolo, il lettore già deve aver assorbito l’input primario dell’informazione, in quanto la sua attenzione è labile, sfuggente, “scrolla” troppo rapidamente – prima l’occhio suoi titoli in grassetto del foglio di giornale, oggi il pollice sullo smartphone – pertanto, bisogna cogliere l’attimo fuggente per iniettargli il messaggio desiderato nella mente.
Stiamo attraversando l’onda della moda hi-tech dell’IA. L’impressione è che qualcuno sia riuscito ad estrarre dall’uomo l’unica cosa che gli occorre per generare profitto, le sue abilità operative e produttive, e sia riuscito ad installarle nei device elettronici. Sembra che l’essere umano sia diventato oramai obsoleto, sembra che le macchine possano fare da sole qualsiasi cosa, persino sottomettere e comandare l’Homo Urbano là dove ancora sfruttato per le sue abilità fini non ancora meccanizzabili.
Può un algoritmo scrivere un articolo giornalistico? un sistema spersonalizzato, senza coscienza, valori, morale, può valutare la veridicità di una notizia? può elaborarla e contestualizzarla nella sfera dell’esistenza umana? Si!! Ma a patto che il lettore sia considerato culturalmente così impreparato da poter assorbire passivamente tutto e il contrario di tutto e non avere capacità alcuna di giudizio sensato e nessun potere di protesta attiva, salvo l’emoticon del pollice basso e il commentino sarcastico.
Se un giornale per fornire informazione ai cittadini si avvale di un algoritmo invece che di professionisti seri, e ritiene che il pubblico nemmeno possa notare la differenza, che cosa ti fa pensare? Che l’algoritmo è davvero un’intelligenza superiore? oppure, che chi guadagna con questo servizio ti reputa oggi così mentalmente labile da poterti somministrare qualsiasi cosa che tu te la bevi, metti il tuo like/non like e il tuo commentino, e domani sarai di nuovo lì per il prossimo appuntamento con il vuoto cosmico che echeggia nella tua mente?
L’isolamento mentale e la spersonalizzazione umana è arrivata a tal punto che l’individuo è capace di prendere uno schiaffo e al prossimo che sta per arrivare nemmeno avere più una benché minima reazione.
Se veramente fosse uno strumento anche legalmente responsabile del servizio che espone al cittadino, potrebbe succedere mai che in una società civile e moderna pubblichi delle falsità oppure delle notizie che abbiano obbiettivi di orientamento delle masse? Sì!! a patto che il cittadino ci creda.
Se fossero vere, e non fossero mere operazioni di marketing e orientamento di massa, qualcuno dovrebbe ora trovarsi in prigione? No! A patto che il sistema in cui questi servizi sono offerti sia il quello urbano, quel bel paese dei balocchi dove c’è chi gioca con la vita umana e c’è chi si lascia spensieratamente sfruttare.
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