Preti influencer: anche Don Alberto Ravagnani annuncia il Vangelo sui social
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno ci saremmo messi a scrollare tra balletti, ricette e sfoghi sentimentali… e ci saremmo imbattuti in un prete? Eppure, succede. E non è nemmeno così raro. Alcuni sacerdoti oggi hanno imparato a usare il linguaggio dei social per parlare di Dio con una freschezza sorprendente. E questo, se ci pensiamo bene, è un piccolo miracolo digitale. Perché il Vangelo, per essere davvero vivo, deve abitare il tempo che vive. E oggi quel tempo passa – volenti o nolenti – da uno schermo illuminato, tra stories, trend e filtri colorati.
Che ci fanno dei preti su TikTok? Predicano, sorridono, raccontano il Vangelo con slang giovanile, fanno trending audio e, qualche volta, pure un balletto. No, non è un’esagerazione. È la realtà di un mondo che cambia – e di una Chiesa che, se vuole farsi ascoltare, ha il dovere di non restare indietro. Così sono nati (e cresciuti) i preti influencer: sacerdoti con migliaia, talvolta milioni di follower, capaci di lanciare una riflessione evangelica in meno di un minuto e, incredibilmente, farla arrivare.
Don Alberto Ravagnani è forse il più celebre: milanese, classe ’93, un tempo insegnante, oggi parroco e volto noto del web cattolico. Con i suoi video ha saputo parlare di fede, amore, sessualità e vocazione senza mai perdere l’ironia – e senza svendersi. Poi ci sono don Roberto Fiscer, ex DJ e parroco genovese che ogni mattina lancia la “preghiera del buongiorno” con musica dance in sottofondo. E ancora don Luigi Maria Epicoco, intellettuale raffinato e penna seguitissima anche sui social, e il più giovane don Mirko Integlia, che tra una citazione biblica e una reaction, coinvolge migliaia di ragazzi. E ancora: don Cosimo Schena, don Giuseppe Fusari e don Ambrogio Mazzai. Tutti diversi, ma con un punto in comune: portare Dio dove c’è sete di senso. Anche dentro un feed.
E non sono soli. A Roma, il Vaticano ha stabilito il primo Giubileo degli influencer cristiani, il 28 e il 29 luglio. Un segnale forte: è la consacrazione di una frontiera che non si può più ignorare; la Chiesa non solo prende atto dell’esistenza di questi nuovi “evangelizzatori digitali”, ma li raduna, li ascolta, li invia. Perché sì, oggi il Vangelo può (e forse deve) viaggiare anche con il 5G.
La Chiesa Madre li vuole accompagnare nel cammino. Chi non vuole rischiare non può né vivere né amare – Monsignor Lucio Ruiz]
Ben vengano allora i preti che sanno parlare ai giovani con il loro linguaggio, che non hanno paura di esporsi, di mettersi in gioco, di raccontare la fede con ironia, intelligenza, profondità. Non si tratta di banalizzare il messaggio, ma di saperlo tradurre. Gesù parlava di semi, pecore e monete perdute perché parlava a gente di campagna e mercanti. Oggi probabilmente parlerebbe di cuori spezzati su WhatsApp, fame d’amore tra i commenti, e rinascite nei video da 60 secondi. Quindi sì: TikTok può diventare un pulpito. Instagram, una piccola cattedra. YouTube, un confessionale aperto.
Tutto bello, tutto ispirante. Ma – e qui serve una pausa – bisogna stare attenti: la luce riflessa di un cellulare può facilmente abbagliare. Il rischio è reale, e ha un nome preciso: ego. L’annuncio del Vangelo è un servizio, non uno show. Il confine tra evangelizzazione e autocelebrazione è sottile come un filtro bellezza su Instagram. È facile lasciarsi prendere la mano, confondere i like con l’ascolto, i follower con i discepoli.
I social sono uno strumento potente, ma anche pericoloso. È facile passare da “annuncio” a “performance”, da “servizio” a “spettacolo”. L’evangelizzazione non è intrattenimento spirituale. E quando l’ego si infila tra i versetti, il rischio è quello di predicare sé stessi e non Cristo. Alcuni preti, per esempio, non hanno resistito alla tentazione di cavalcare trend discutibili, come il caso del vocale privato di Raoul Bova inviato alla presunta amante e diventato virale. Si sono lanciati in imitazioni e post ironici dimenticando che si trattava di un contenuto rubato, personale, doloroso. Quando anche chi dovrebbe custodire la dignità delle persone si mette a fare satira su ferite vere, qualcosa si rompe.
Allora sì, evangelizziamo anche a colpi di video e caption brillanti. Largo ai preti che fanno reel, che parlano di fede con un iPhone in mano, che non hanno paura del confronto. Ma con una bussola ben orientata. Ricordiamoci sempre che ogni post parla di Qualcuno più grande di noi.
Il confine tra vangelo e vanagloria è sottile: sta a chi comunica saperlo riconoscere. Perché un “Padre Nostro” non vale meno se lo dici davanti a una telecamera, ma rischia di svuotarsi se il tuo obiettivo è diventare virale. Meglio pochi like e un’anima toccata, che mille cuori e un messaggio vuoto.
Perché i like non sono le beatitudini, e la viralità non è sinonimo di verità. Bisogna saper distinguere l’apostolato dal protagonismo, la missione dalla vanità, l’algoritmo dallo Spirito. Perché il Vangelo non si misura in visualizzazioni, ma in conversioni del cuore.
E allora: che TikTok sia. Ma senza dimenticare che il Regno di Dio non si costruisce con i follower; si costruisce con l’Amore.
Per rimanere aggiornato sulle ultime opinioni, seguici su: il nostro sito, Instagram, Facebook e LinkedIn
Il concetto di ikigai si riferisce alla sensazione di vivere una vita ricca di significato,…
Un laboratorio di educazione musicale dedicato ai valori della tradizione italiana. Nel cuore del quartiere…
In questi mesi la figlia minore di Vittorio Sgarbi, Evelina Sgarbi, ospite in vari programmi…
Pamela Genini, ventinove anni, è stata brutalmente uccisa da Gianluca Soncin, cinquantadue anni, ossia l’uomo…
Superare la povertà non è un gesto di carità. È un atto di giustizia. È…
Che si tratti di una pizza con gli amici, di un bicchiere di vino dopo…