L’11 agosto 2014 il mondo perse Robin Williams, e con lui un’intera dimensione del cinema e della comicità. Non si trattò solo della morte di un attore: se ne andò un poeta della risata, un interprete capace di abitare i personaggi con una sensibilità rara, capace di far ridere, piangere, riflettere – spesso tutto nello stesso film. La sua carriera è stata un viaggio vertiginoso che ha attraversato il surreale, il drammatico, il magico e il doloroso. E oggi, a distanza di undici anni, il vuoto lasciato è ancora tangibile, ma colmo della luce che continua a emanare dalle sue opere.
Credo che le persone più tristi cerchino sempre con più forza di rendere felici gli altri – Robin Williams
Robin McLaurin Williams nasce a Chicago nel 1951. Cresciuto tra Michigan e California, dimostra fin da giovane un’energia incontenibile e un talento naturale per l’imitazione e l’improvvisazione. Dopo gli studi alla prestigiosa Juilliard School di New York, dove è allievo del leggendario John Houseman (e compagno di classe di Christopher Reeve), Williams si immerge nel mondo della stand-up comedy.
Il suo primo successo arriva nel 1978 con la sitcom “Mork & Mindy” (giunta in Italia l’anno successivo su Rai 2), dove interpreta un alieno dal cuore ingenuo e dalla logica stravagante. Il suo stile comico è travolgente: cambi di voce, linguaggio corporeo, allusioni brillanti. Ma sotto quella maschera c’è già la malinconia di chi osserva il mondo da fuori.
Il salto al cinema arriva con “Popeye – Braccio di Ferro”, diretto da Robert Altman nel 1980. Il film, inizialmente accolto con freddezza, è oggi rivalutato come un esperimento ambizioso. Williams incarna Popeye con devozione totale, quasi maniacale, trasformando il personaggio in carne viva. È un’interpretazione fisica, clownesca, ma non priva di cuore. È anche la prova che Robin non è solo un comico: è un attore capace di trasformarsi. A fare da controaltare al bravo attore la compianta Shelley Duvall nel ruolo di Olivia Oyl.
Il 1989 segna una tappa cruciale con “L’attimo fuggente”, dove interpreta il professor John Keating. Williams qui è misurato, quasi trattenuto, ma la sua forza è immensa. Con poche parole, con uno sguardo, con un semplice “Carpe diem”, ispira generazioni a vivere con pienezza, a pensare con la propria testa. Keating non è solo un personaggio: è un manifesto artistico. Rappresenta la parte più autentica di Williams, quella che vede nella poesia e nell’arte un modo per sopravvivere alla brutalità del mondo. Il film riceve 4 nomination all’Oscar ed entra nella storia. Williams viene nominato come “Miglior Attore”, ma a vincere è soprattutto il suo messaggio.
In “Hook – Capitan Uncino”, diretto da Steven Spielberg nel 1991, l’attore veste i panni di un Peter Pan cresciuto, un uomo che ha dimenticato la magia dell’infanzia, soffocato dalle responsabilità e dalla frenesia del mondo adulto. Il film immagina un Peter che ha lasciato l’Isola Che Non C’è, è diventato un avvocato freddo e stressato, e ha dimenticato chi era. Ma quando Capitan Uncino rapisce i suoi figli, Peter è costretto a tornare a Neverland — e a ritrovare sé stesso.
Questa premessa, apparentemente fantastica, nasconde in realtà una delle narrazioni più profonde e personali della filmografia di Robin Williams. Peter Banning, il personaggio che interpreta, è un simbolo di quella lotta interiore tra l’età adulta e il bambino interiore, tra dovere e immaginazione, tra cinismo e meraviglia. Williams è perfettamente a suo agio in questo ruolo ibrido: all’inizio del film è contenuto, serio, quasi ingabbiato. Ma man mano che Peter riscopre la propria identità di Peter Pan, l’attore si trasforma. Ritrova l’energia del gioco, la leggerezza, la libertà del volo – fisico ed emotivo. È una performance che parla ai bambini e agli adulti, perché mostra quanto sia facile, e al tempo stesso pericoloso, dimenticare chi siamo stati da piccoli.
La chimica con il resto del cast – in particolare con Dustin Hoffman nei panni di Capitan Uncino, Bob Hoskins come Spugna o Dame Maggie Smith (cliccate QUI per il nostro articolo sull’attrice) nel ruolo di nonna Wendy – è perfetta. Ma ciò che colpisce di più è la sincerità con cui Williams si immerge nel personaggio. Non è solo un Peter Pan con i capelli brizzolati: è un padre, un uomo, un’anima smarrita che riscopre l’importanza della famiglia, del tempo condiviso e della fantasia come via di salvezza.
Il film è una dichiarazione d’amore all’infanzia e a tutto ciò che Robin Williams ha sempre cercato di proteggere: il potere salvifico del gioco, il valore della risata, il diritto alla meraviglia. Anche se all’uscita fu accolto da critiche miste, nel tempo Hook è diventato un cult generazionale, soprattutto per chi è cresciuto negli anni Novanta. Non solo per la storia, ma per la forza emozionale che Robin ha saputo infondere al personaggio.
Hook è la sua fiaba moderna, la sua lettera d’amore ai sognatori che hanno dovuto diventare grandi. Nonostante all’epoca sia stato molto criticato, con il tempo e grazie al duro lavoro di tutti gli attori (da non dimenticare una bravissima Julia Roberts nel ruolo di Campanellino) questo film è riuscito a diventare un grande Cult, dando la possibilità a Williams di esplorare nuovi modi recitativi.
Nel 1993, “Mrs. Doubtfire” lo consacra come re della commedia familiare. Il film racconta la storia di un padre disposto a tutto pur di stare vicino ai suoi figli – anche travestirsi da anziana tata scozzese. Dietro la comicità irresistibile, si nasconde un ritratto struggente di amore paterno, sacrificio e resilienza. La performance di Williams è un tour de force: cambia voce, accenti, posture, passando dal ridicolo alla commozione in un battito di ciglia. E in questo gioco teatrale, riesce a parlare al cuore di chiunque abbia amato, perso, lottato per la propria famiglia.
“Jumanji” è una delle pellicole più amate della sua filmografia. Nel ruolo di Alan Parrish, un uomo intrappolato per anni in un gioco magico, Williams fonde ancora una volta umorismo e pathos. Alan è un bambino cresciuto troppo in fretta, segnato dall’abbandono e dal trauma. Ma è anche un eroe fragile, che impara ad affrontare le proprie paure. Williams rende il film molto più di un’avventura fantastica: Jumanji è una metafora sul tempo, sulla crescita, sulla necessità di affrontare la realtà. Ancora oggi, è un cult per intere generazioni.
Con “Al di là dei sogni”, Williams esplora l’aldilà in chiave poetica. Interpreta Chris Nielsen, un uomo che, dopo la morte, attraversa paradisi dipinti a olio e inferni interiori per ritrovare la moglie suicida. Il film è visivamente spettacolare, ma il vero spettacolo è il cuore che Robin mette nel personaggio. È un’opera dolorosa e bellissima, che tocca temi profondi: l’amore eterno, la perdita, il senso della redenzione. L’interpretazione di Williams è intensa, mai teatrale, profondamente sincera.
Nel ruolo dello psicologo Sean Maguire in “Will Hunting – Genio ribelle”, Williams vince finalmente l’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista. Il suo personaggio è un uomo spezzato, vedovo, ma ancora capace di compassione e forza. È un mentore autentico, che parla al cuore del giovane genio Will (Matt Damon), aiutandolo a superare i traumi e credere in sé stesso. La scena della panchina – un monologo pacato, quasi sussurrato – è uno dei momenti più profondi del cinema contemporaneo. È l’arte della sottrazione: Williams non recita, è.
Uno dei ruoli più significativi e commoventi della carriera di Robin Williams è quello del dottor Hunter “Patch” Adams nell’omonimo film diretto da Tom Shadyac. Basato su una storia vera, Patch Adams racconta la vita di un uomo che decise di rivoluzionare la medicina partendo da un principio tanto semplice quanto rivoluzionario: la risata può guarire. Williams interpreta Patch con profonda empatia, dando corpo e voce a un medico anticonformista che sfida i protocolli ospedalieri per umanizzare la cura. La sua missione è portare gioia, calore e umanità ai pazienti, anche a costo di scontrarsi con l’establishment.
In questa pellicola, Williams riesce a sintetizzare tutti i suoi talenti: la comicità irresistibile, la dolcezza disarmante, la capacità di incarnare la compassione in modo autentico. Celebre è la scena in cui intrattiene i bambini malati vestito da clown, trasformando una stanza d’ospedale in un mondo di colori, suoni e speranza.
Ma Patch Adams non è solo un film edificante: è anche una riflessione sulla sofferenza, sulla perdita (la morte dell’amata Carin segna un momento di rottura), e sulla responsabilità etica del prendersi cura. In questo, Williams brilla con una performance complessa, mai retorica, capace di rendere onore a un personaggio realmente esistito che ancora oggi porta avanti la sua missione.
Nonostante alcune critiche al film per il suo tono sentimentale, l’interpretazione di Williams è universalmente riconosciuta come sincera, toccante, e profondamente ispiratrice. E forse è questo il punto: Patch Adams è una celebrazione della vita – e Robin Williams ne è il portavoce perfetto.
In “Una voce nella notte” del 2006, meno noto al grande pubblico, Williams interpreta un conduttore radiofonico coinvolto in una storia inquietante. È un film sul confine tra realtà e finzione, sulla fiducia e sull’illusione. Williams si muove con sottigliezza, restituendo una tensione psicologica che conferma la sua versatilità. Qui il suo sguardo è disilluso, inquieto. È un’interpretazione introspettiva che mostra la sua capacità di stare nell’ombra, di raccontare la solitudine senza bisogno di effetti.
Robin Williams era un attore, sì. Ma prima ancora era un’anima. Una persona che ha trasformato la sua sensibilità in arte, il dolore in empatia, la velocità mentale in improvvisazione lirica. Ha donato tutto se stesso, spesso dimenticando di tenere qualcosa per sé.
La sua battaglia contro la depressione e la malattia (la demenza da corpi di Lewy, diagnosticata solo dopo la morte) è il segno di quanto l’animo umano possa essere complesso. Dietro il sorriso, dietro la risata, c’era un uomo che cercava la verità. Oggi, Robin vive nei cuori di chi lo ha amato, nei film che ha interpretato, nelle frasi che ha pronunciato. Vive ogni volta che qualcuno scopre “L’attimo fuggente”, ogni volta che un padre guarda Mrs. Doubtfire con i figli, ogni volta che un giovane si rivede in Will Hunting.
“Non importa quello che la gente dice. Le parole e le idee possono cambiare il mondo”. Lo disse lui, e lo dimostrò. Grazie, Robin. Non ti abbiamo dimenticato. Non lo faremo mai.
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