L’Italia, fucina di arte nei secoli dei secoli, terra conosciuta per la sua vasta produzione artistica, madre di pittori, scultori, poeti, drammaturghi, cineasti, romanzieri, con il suo vasto panorama e patrimonio culturale è stata sempre apprezzata in tutto il mondo. Ovviamente, ogni epoca è stata caratterizzata da scuole che hanno dato vita a movimenti artistici che, a loro volta, hanno influenzato il secolo successivo. Non a caso, il famoso detto “Non c’è arte se non c’è stata arte” è ancora attuale. O perlomeno, dovrebbe esserlo. Tuttavia non si devono chiudere gli occhi davanti l’odierno scenario: l’arte al tempo dei social.
Non è un discorso di stile, ma di evoluzione della lingua. Ebbene sì, la lingua ha subito un cambiamento. Tutto ciò è normale, non lo è quando si è di fronte a “Grimilde” che chiede allo specchio delle sue brame chi è l’artista del reame.
Le statistiche di questi ultimi vent’anni non sono delle migliori. In Italia si legge poco, probabilmente non si leggono neanche i quotidiani. Ed è alla luce di ciò che una domanda mi sorge spontanea: “Come mai una miriade di sedicenti artisti ogni giorno espongono i loro trofei sui social? Sedicenti eclettismi o autocelebrazione del proprio diario?“. Un punto interrogativo che potrebbe avere delle risposte, ma io parto dalla mia opinione, espongo il mio modestissimo punto di vista e pertanto potrebbe quasi restare così. Oppure, essendo figli d’arte, crediamo che la scienza infusa discenda come lo spirito santo sul fiume Giordano, un’autorizzazione senza firma a continuare l’arte degli avi, se si legge poco, come arrogarsi l’appellativo di artisti?
La questione principale non è il post sui social, ma la guerra senza tregua tra chi è “più bravo” rispetto ad un altro. Di migliori se ne scorgono pochi, di concorsi ce ne sono migliaia, e le fabbriche dei trofei vantano un buon fatturato annuo. Scrisse Giacomo Leopardi:
[…] sedendo e mirando interminati spazi […]
Sì, spazi vuoti. Interminabili errori. E ogni tanto, qualche “tronca” per rendere forse rende più chic il componimento. Nel frattempo, la guerra non ha tregua, via di corsa al podio e se c’è la menzione d’onore, allora lo sproloquio di critiche diventa il secondo inizio della gara: litanie sciorinate su Facebook.
Questa è arte, secondo voi? Dove si è riposto il valore del dialogo, del confronto, il desiderio di conoscenza per migliorarsi? Sì al dialogo, ma c’è sempre l’Io prevaricatore che vuole, ad ogni costo, detenere il primato. Il teatro dell’assurdo, la poesia strappa lacrime sul palco e poi le scalinate alla Wanda Osiris, avessi visto qualcuno che riesce ad essere cordiale così come le parole che scrive, ecco cosa è saltata fuori dai social: la vanità!
Salomone aveva ragione quando scrisse il Qoèlet: “vanità delle vanità, tutto è vanità“! Agglomerati di persone che vanno avanti e indietro partecipando a tutte le possibili occasioni per mostrare sé stessi, solamente sé stessi. Una volta proposi una Lectio su Dante e la Commedia, quale bestemmia uscì dalla mia bocca? Beh, forse volevo spodestare qualcuno? Con sgomento mi accorgo ogni giorno che manca la coesione della bellezza, quella unione che dovrebbe essere una officina di creatività! Tutto inizia con un decalogo di partecipazione per finire con l’esposizione del trofeo sulla scrivania. Qualcuno ha creato il paese dell’amicizia poetica, e lo ha fatto con tutto l’amore possibile, ma di amicizia, la maggior parte dei partecipanti, non ne ha nemmeno l’ idea all’orizzonte.
Qualche anno fa qualcuno mi fu chiesto: “I primi poeti della storia chi avevano come riferimento“? Giusta osservazione seguita dalla mia risposta: “Creavano, inventavano, e sulla loro opera estrapolavano il senso della lingua, della comunicazione, idee innate che nascono con noi e che hanno bisogno di allenamento“. Mi piace l’arte che attinge dal passato ma ne dimostra il superamento, che spiega l’intenzionalità del messaggio e della tecnica o adottata o inventata.
Tutti hanno il diritto di espressione, di creare, di DIRE, ma non tutti possono essere artisti se non sono posseduti da quel barlume di follia che irrompe sulla normalità. Il termine follia è sinonimo di originalità, di sentimento libero che caratterizza l’artista stesso. Oggigiorno manca la sperimentazione linguistica, la ricerca del vocabolo. In sintesi, viene meno lo studio severo e disciplinato che è il motore dell’invenzione. C’è un dinamismo dialettico, da un lato l’eccesso di accademismo, dall’altro l’eccesso di mancanza di regole, che ha indebolito l’arte dando vita ad uno scontro improduttivo.
Non avrà lunga vita, ma nel frattempo stiamo vivendo la crisi sociale e pedagogica della creatività. Concorsi che sono divenuti trash, libri sfornati come il pane di prima mattina, parole senza lievito di significazione, cromie impostate con IA. Insomma, se della carta, della biro e del pennello si è celebrato il funerale, almeno che si usino i mezzi innovativi per riportare l’arte al livello che gli spetta!
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credo che ciò che hai scritto abbia attinenza col vero... c'è ridondanza di " opere"e scarsezza di contenuti...che fare!!!??? stiamo a guardare il fiume di inutilità che scorre inesorabile, questo è.....