C’è una storia dietro il bicchiere di vino che beviamo. Una storia di dolore e rinascita, che proviene dal mito greco, e racconta come questa bevanda arrivò agli uomini.
Tutto il mondo loda il vino perché rende così allegri; ma la sua allegria ha una profondità indicibile, poiché in esso scorre qualcosa che è affine alle lacrime. – Walter F. Otto, Dioniso
Sangue. Sangue rosso scuro che scorre sulla nuda terra. Lacrime che solcano un viso divino. Strazio, dolore e morte. Ma prima della morte c’era stato un amore. Corpo. Un corpo che emanava luce, quando usciva dalle acque del fiume. Gocce d’acqua cadevano dai lunghi capelli e scintillavano sui muscoli guizzanti del giovane non ancora uomo, che celava nel suo splendore acerbo la promessa di una bellezza illuminante. Come poteva non rapire la mente e il cuore di un dio quel giovane, che pareva egli stesso simile agli dei? Ampelo era il suo nome e quella parola iniziò a sgorgare dalle labbra di Dioniso, sussurrata dalla sua bocca immortale.
Fiume. In quel fiume presero a tuffarsi insieme, per lavarsi dalla pelle il sudore e la polvere dei loro giochi di amanti: gare di lotta e amore, e rincorse e schermaglie scherzose, che scandivano le ore passate insieme. Quelle romantiche competizioni le avrebbe vinte tutte Dioniso – era impossibile superare un dio –, ma a tutti i costi desiderava vedere felice il suo compagno, così si frenava e si lasciava battere: il sorriso che si apriva sul volto di Ampelo era la ricompensa più preziosa.
Il timore e la riverenza verso il dio non intaccavano l’animo di Ampelo, che in tutto imitava Dioniso, perfino nel circondarsi di orsi, leoni e tigri, il corteo di bestie feroci addomesticate dalla smisurata potenza della divinità.
Corna. Le corna di un toro riflettevano possenti i raggi del sole, mentre si abbeverava al fiume. Ampelo gli si fece incontro con falcate lente. Un passo, un altro passo, un altro ancora. Prese ad accarezzarne le corna, come era abituato a fare con gli altri animali. Sentiva un bruciante coraggio montargli nel cuore, l’incrollabile certezza di poter affrontare qualsiasi pericolo: l’amore, soprattutto quello di un dio, rende capaci di tutto. Percepiva sulla sua pelle la carezza dello sguardo amorevole di Dioniso, che lo circondava anche quando era lontano, come in quel momento.
Salì in groppa al toro. Era docile e si lasciava guidare. Perché Dioniso lo aveva messo in guardia dal toro? Perché mai, col terrore negli occhi, l’aveva pregato di stargli lontano? Questi pensieri si rimescolavano nella sua mente, mentre Ampelo cavalcava spavaldo e padrone. Uno squasso fece trasalire il cavaliere: Selene, dea della luna, gelosa, aveva inviato un tafano a imbizzarrire il toro. L’animale si lanciò in una corsa furiosa e i forti colpi del suo dorso scuotevano Ampelo, lo sballottarono fino a fargli perdere il controllo e cadere. Un suono secco, fulmineo, impietoso: il collo spezzato in un attimo. Ora il toro lo trascinava con le corna, come un cumulo di terra e detriti.
Presagio. Un drago cavalcava con un capriolo sul dorso. Lo rovesciò e lo trafisse con il suo corno, lasciando che il sangue tingesse la terra. Questa immagine attraversò gli occhi di Dioniso, quando ritrovò il corpo di Ampelo riverso nella polvere. La carcassa inerte del capriolo, orrido presagio, l’aveva spinto a mettere in guardia Ampelo dal toro. Adesso ne accarezzava il viso, ancora bello nella stretta della morte.
Lacrime. Dioniso desiderava morire, ma la sua immortalità glielo impediva. Desiderava abbandonarsi allo strazio, ma gli dei, per loro natura, vivono in un eterno distacco dal dolore. Eppure, nel silenzio, le lacrime iniziarono a stillare dai suoi occhi.
Vino. Se un dio beato piange, il mondo cambia. E pianse così forte che gli altri dei ne ebbero compassione: la creatura che aveva procurato a Dioniso il pianto, avrebbe donato al mondo la gioia. Allora il corpo di Ampelo venne trasformato in vite e, quando i suoi frutti furono maturi, Dioniso li spremette tra le mani: in quel succo rosso, dolce e inebriante vide tutta la bellezza di Ampelo, il suo splendore, e tornò a sorridere. Nacque così il vino, dono di un dio agli uomini, affinché dal suo pianto ricevessero allegria ed ebbrezza.
La vicenda di Dioniso e Ampelo – il cui nome oggi designa la disciplina che studia, identifica e classifica le varietà di vitigni, l’ampelografia – si stacca dalle piacevoli narrazioni del mito per divenire archetipo universale: la vita, come il vino, si muove nella dualità di amore e perdita, nella continua commistione di dolore e gioia. Il vino, dunque, non è solo una bevanda, ma un potente simbolo di come l’essere umano sia capace di trasformarsi e rinascere anche nel mezzo delle lacrime più amare.
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