E anche quest’anno, tra un mare di polemiche, fischi a non finire e quella sensazione di uno spettacolo che ha fatto acqua da tutte le parti, le porte dell’Ariston si sono finalmente chiuse per darci appuntamento al prossimo febbraio. Ogniqualvolta il Festival di Sanremo ci saluta, mi chiedo che cosa ne rimarrà. Un tempo sicuramente le canzoni, quegli intramontabili pezzi d’arte che non passavano mai di moda. Oggi, invece, la sola cosa che mi ha lasciato è l’amara delusione di aver visto un astro nascente e un grande talento come Lucio Corsi venir soppiantato da qualcuno che non si è distinto in nemmeno una delle 5 serate che compongono la kermesse, né vocalmente né musicalmente.
Alberto Moravia una volta disse che:
La poesia è come l’acqua nelle profondità della terra. Il poeta è simile a un rabdomante, trova l’acqua anche nei luoghi più aridi e la fa zampillare
E sarà pure vero. Peccato solo, però, che quando la natura incontra la mano dell’uomo, perlomeno in un primo momento, questa si ritrova costretta a far deviare l’acqua dal suo principale corso. A quanto sembra, non conterebbero l’impegno impiegato nell’emergere in superficie o quel talento che naturalmente fluisce dalle proprie viscere. Al contrario, quel che importa davvero, come suggerirebbe il buon vecchio Ernico Mentana, è avere il traghettatore giusto perché tanto, si sa, in Italia la meritocrazia va puntualmente alla deriva!
Scie chimiche del complottismo e dei giochi di potere da dietro le quinte a parte, la 75esima edizione del Festival della Canzone Italiana è stata veramente incommentabile. Se non a tratti, quasi del tutto! Carlo Conti lo conosciamo ormai, perciò non credo di avere nulla da aggiungere su di lui che non sia stato già detto. Ma dei co-conduttori vogliamo parlarne? Bianca Balti, quella che “Io non vengo da malata” e sulla cui condizione di salute non si è mai persa occasione di porre l’accento (“mai come quest’oggi una guerriera” si è detto di lei, tra le altre cose), e Cristiano Malgioglio, che sembra avere l’inusuale potere di trasformare in un circo ogni luogo in cui si reca, forse, avrebbero potuto risparmiarceli.
E che dire della classifica finale? Accettare una Giorgia in sesta posizione è l’equivalente del riconoscere alla sua omonima Meloni le qualità di una buona politica. Nulla in contrario su Brunori Sas e Simone Cristicchi, sono felice che una parte di cantautorato abbia avuto il riconoscimento che meritava, ma al posto di uno dei due avrei preferito senza ombra di dubbio ritrovare la voce di “La cura per me“. Tony Effe, dal canto suo, benché non abbia minimamente sfiorato il podio, piuttosto che perder tempo con rosari, collane e improbabili dissing rivolti al conduttore e direttore artistico, avrebbe fatto cosa buona e giusta a prendersi, di sua spontanea volontà, l’ultimo posto riservato poi a Marcella Bella. Se non altro, avrebbe rimediato alle pessime figure collezionate su quel palcoscenico!
Fedez in Top5, invece, mi riporta alla mente soltanto il pensiero che noi italiani non meritiamo il diritto di voto nemmeno per le nomination del Grande Fratello, considerando anche che una delle più sorprendenti scoperte canore e cantautoriali degli ultimi anni si è vista sfuggire, per un misero 0,4% (risultato della media in percentuale tra televoto e i voti delle svariate sale di stampa, critica e radio), la vittoria e l’ambito Leone d’Oro in favore di un’anonima Balorda Nostalgia che se fosse stata Canaglia, un po’ come quella di Al Bano, avrebbe di certo avuto tutto un altro sapore.
Ma si fa, mi domando e dico, a non amare uno come Lucio Corsi?! In un panorama musicale spesso (e volentieri!) dominato da sonorità uniformi e da un’estetica prevedibile, una figura che pare provenire da un’altra dimensione e che, prima di tutto, ha seriamente qualcosa da offrire dovrebbe essere apprezzata senza pensarci due volte. Cantautore, rocker, poeta surreale, narratore visionario, dandy senza tempo e, pensate un po’, perfino sarto (si è cucito da solo i vestiti con cui ha preso parte alla gara), Corsi è un personaggio che voleva essere un duro, ma che alla fine ha dato prova di essere un Artista completo, abile nell’unire alla tradizione del cantautorato nostrano una vena teatrale e psichedelica da cui la Zia Malgy dovrebbe prendere spunto e che lo ha reso unico nel suo genere.
I suoi testi evocano atmosfere oniriche, popolate da animali parlanti, paesaggi metafisici e riflessioni filosofiche nascoste dietro immagini apparentemente leggere, e la sua estetica, curata nei minimi dettagli, è un inno alla libertà espressiva, Topo Gigio compreso, in un Festival fatto di rigore, tempistiche da rispettare (cascasse il mondo se ci si perde più di due minuti in chiacchiere o ringraziamenti), zero fuori-programma e un podio “machista ad ogni costo” dinanzi al quale la sensazione di austerity iniziale non può che impallidire.
In un’epoca dominata dalla standardizzazione musicale e dall’omologazione estetica, dunque, Corsi si distingue per il suo approccio artigianale alla musica e alla narrazione. Le sue esibizioni dal vivo sono delle vere e proprie performance teatrali, la sua capacità di raccontare storie con ironia e poesia lo avvicina ai grandi del cantautorato italiano, pur mantenendo una personalità unica e contemporanea. E questo, sul palco dell’Ariston, lui ce lo ha dimostrato.
Ma alla fine, puntualmente, noi scegliamo l’omologazione senza arte né parte perché preferiamo “poter provar la noia visto che la notte è lunga” (“La Notte Vola Remix” – Olly).
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