Fëdor Dostoevskij: quando la sofferenza diventa la chiave della conoscenza

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Fëdor Dostoevskij

L’11 novembre 1821 nasceva a Mosca Fëdor Dostoevskij, considerato tra i colossi della letteratura mondiale. La sua vita, caratterizzata da esperienze forti, gli permise di scrivere grandi capolavori sul valore della sofferenza. Lui non idealizzò il dolore, ma seppe ricavarne il senso della conoscenza della verità. Nell’universo dostoevskiano, la sofferenza ha un valore spirituale, cammino verso la coscienza, prova che rivela la parte vera dell’essere umano. Ne I fratelli Karamazov, ad esempio, i personaggi vivono drammi interiori profondi, i fratelli incarnano i temi della colpa, del rimorso, della fede e del perdono e solo attraverso il dolore trovano un senso alla propria esistenza o una forma di pace.

Tra Fëdor Dostoevskij e Nietzsche: il dolore come esperienza necessaria

Dostoevskij non celebra la sofferenza, ma la riconosce come inevitabile e trasformativa: è l’esperienza che spezza l’illusione e conduce alla verità interiore. La sofferenza, personale o collettiva, è l’imprescindibile occasione di introspezione, empatia e maturità. Imparare a darle un senso significa riconoscere la ferita come forza saturnina, ovvero un alto insegnamento che passa attraverso il dolore.

La sofferenza è la causa di ogni coscienza; senza sofferenza non si conosce la verità – Dostoevskij

In questa epoca, in effetti, la pedagogia del dolore è stata sottomessa alla nevrosi della dimenticanza. La filosofia dell’oltre-uomo la si ritrova in Friedrich Nietzsche, che nella sua opera Così parlò Zarathustra scrive che “bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante“. Difatti, anche per lui, così come per Dostoevskij, la sofferenza non è solo un male da evitare, ma anche e soprattutto una condizione necessaria per la conoscenza e la crescita spirituale. Il dolore diventa un passaggio obbligato attraverso cui l’essere umano scopre la propria forza interiore e affermare la propria libertà. Insomma, entrambi gli autori vedono nella sofferenza una forma di purificazione e di consapevolezza, un’esperienza epifanica dell’animo umano. La verità, secondo questa visione, non si trova nella tranquillità, ma nell’attraversamento del dolore.

Nietzsche e Dostoevskij condividono dunque l’idea che solo chi affronta la sofferenza può comprendere davvero sé stesso e il senso dell’esistenza. E voi, invece, che cosa ne pensate?

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Bartolomeo Di Giovanni (detto Theo) è nato a Palermo il 2 Giugno 1975, ha conseguito la laurea in filosofia presso l’università di Palermo, docente di materie umanistiche. Ha collaborato con realtà poetiche dei paesi dell’Est, e del Messico, ha in attivo diverse pubblicazioni di silloge poetiche e saggi di filosofia psicopedagogica, le opere sono state tradotte in Spagnolo, Russo, Rumeno, Arabo. Scrive per alcune riviste articoli sulla cultura letteraria antica e contemporanea, esperto e studioso di Dante Alighieri e di Ebraico biblico. Nel 2013 fonda il movimento culturale “Una piuma per Alda Merini” per la salvaguardia del patrimonio poetico della poetessa dei navigli. Collabora con Wikipoesia per la estensione della nascente Repubblica dei Poeti, di cui è console e cavaliere con distintivo dell’ Ordine di Dante Alighieri. Ha ricevuto da parte della Ordine dei poeti della Bielorussia, e di altre realtà culturali l’appellativo di “Vate”. Nel 2024 gli viene conferito il premio : Cattedra della Pace, tenutosi ad Assisi, nello stesso anno diviene vicepresidente di WikiPace.

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