L’intelligenza artificiale è una di quelle rivoluzioni che affascinano e spaventano allo stesso tempo. Da un lato, promette di alleggerirci la vita, di automatizzare i compiti più noiosi, di potenziare la nostra creatività. Dall’altro, come segnalano gli ultimi dati in nostro possesso, inizia già a lasciare segni concreti nel mondo del lavoro… e non in senso positivo, almeno per i giovani della Generazione Z.
Un impatto concreto sul lavoro dei giovani

Partiamo da questo: il focus Censis Confcooperative «Intelligenza artificiale e persone: chi servirà a chi?», presentato nelle scorse settimane a Roma, stima 6 milioni di lavoratori che potrebbero perdere il proprio posto perché sostituiti nel processo produttivo dall’intelligenza artificiale.
Secondo recenti studi, infatti, le aziende tech hanno ridotto del 25% l’assunzione di neolaureati rispetto al 2023 e le startup hanno assunto l’11% in meno di giovani laureati. E non parliamo solo di un fisiologico “stop” all’espansione: a influire sembra essere proprio lei, l’IA, capace di svolgere con rapidità e precisione molti dei compiti un tempo riservati ai profili junior. Molti di questi ruoli entry-level, tradizionalmente considerati trampolini di lancio per le carriere, sono ora automatizzati da sistemi di IA capaci di svolgere compiti di routine con efficienza e rapidità. Codifica base, debug, assistenza clienti, attività legali standard: sono tutte mansioni che oggi un chatbot può svolgere; o meglio, simulare di saper svolgere in pochi secondi.
Ed è qui che nasce il cortocircuito: per avere esperienza serve un primo impiego, ma se l’IA ruba i gradini più bassi della scala professionale, ai giovani non resta nemmeno la possibilità di cominciare a salire.
L’IA non è il nemico, ma non può guidare da sola
Ma attenzione: demonizzare l’intelligenza artificiale sarebbe ingenuo quanto affidarle le chiavi del nostro futuro senza regole. Non è lei il nemico. Il problema non è l’IA in sé, ma l’uso miope che se ne sta facendo. Come ha affermato Sam Altman, CEO di OpenAI:
L’IA generativa non sostituisce la creatività umana, ma è piuttosto uno strumento che può aumentarla e potenziarla
Purtroppo, però, i vertici delle aziende, illusi dal sogno di risparmiare e incrementare i profitti con il minimo sforzo, quello dell’IA, appunto, si sono lasciati ingannare e hanno affidato ai chatbot il proprio futuro. Sbagliando! Come dimostrano altri dati, infatti, molte aziende non ottengono il ritorno sull’investimento che si aspettavano. Progetti di IA abortiti, produttività che cresce a fatica, e addirittura aziende (come Klarna) che fanno marcia indietro, riassumendo personale umano dopo aver esagerato con le automazioni.
L’ingegno umano non è sostituibile

La verità è che l’adozione indiscriminata dell’IA senza considerare le implicazioni etiche e sociali può portare a conseguenze indesiderate. Il rischio è che, nel tentativo di ottimizzare l’efficienza, si perda di vista il valore insostituibile dell’ingegno umano, della creatività e dell’esperienza che solo le persone possono offrire.
L’intelligenza artificiale dovrebbe quindi essere un supporto, non un rimpiazzo. Uno strumento per aiutare le persone a lavorare meglio, non un motivo per lasciarle indietro. C’è bisogno di una cultura dell’IA che non metta in secondo piano le competenze umane più profonde: la creatività, il senso critico, l’empatia, la capacità di imparare e di reinventarsi. Proprio quelle qualità che, paradossalmente, la Gen Z possiede in abbondanza.
Il futuro va costruito
È quindi essenziale adottare un approccio equilibrato e consapevole nell’integrazione dell’IA nel mondo del lavoro. Come suggerisce il proverbio latino “Abundans cautela non nocet” (un eccesso di prudenza non nuoce): è meglio, quindi, procedere con cautela, valutando attentamente l’impatto delle nuove tecnologie sulla società e sull’occupazione.
Perché se è vero che la tecnologia più innovativa rappresenta una straordinaria opportunità per migliorare la produttività, è anche vero che ciò può avvenire solo se utilizzata come complemento alle capacità umane. È responsabilità di tutti – aziende, governi e individui – assicurarsi che l’adozione dell’IA avvenga in modo etico e sostenibile, preservando i valori fondamentali del lavoro e della dignità umana.
Il futuro, insomma, non si ferma, ma possiamo ancora decidere come costruirlo. E sarebbe bene ricordarlo ogni volta che ci affidiamo a un algoritmo per sostituire, anziché valorizzare, il talento umano.
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