Viviamo immersi in un mondo che parla, narra, racconta. Ogni giorno riceviamo storie che modellano ciò che crediamo reale. Tuttavia, il linguaggio, straordinario strumento evolutivo, è anche un varco vulnerabile. Attraverso le parole, la nostra mente costruisce immagini, concetti, aspettative. Ma cosa accade quando ciò che assimiliamo non corrisponde alla realtà? Siamo consapevoli di quanto la nostra rappresentazione del mondo dipenda da ciò che altri ci fanno credere?
Il linguaggio e il “backdoor cerebrale”
Non vediamo le cose come sono; le vediamo come siamo – Anaïs Nin
Tempo fa, per chi lo ricordasse, vi parlai degli inganni che la realtà può riservarci mentre la scorsa settimana ci siamo concentrati sul significato della parola “scuola” e i sensi che ad essa vengono associati nella vita di ognuno di noi. Oggi, invece, approfondiremo meglio suddette questioni concentrandoci sul linguaggio e sulle sue infinite possibilità, trattandosi del mezzo più potente di cui il sistema cervello-mente dispone per trasferire esperienza, conoscenza e significato. Sfortunatamente, però, la sua stessa forza custodisce un punto debole: la capacità di far esistere, nella nostra mente, ciò che nel mondo tangibile, in realtà, non esiste.
Le parole sono in grado di insinuarsi come una vera e propria “backdoor cerebrale”, introducendo concetti, immagini ed emozioni senza che ce ne accorgiamo. È sufficiente una combinazione ben orchestrata di narrazione e stimoli sensoriali, anche minimi, persino insignificanti, per generare nella mente di un individuo idee prive di corrispettivo nel mondo reale. Eppure queste idee diventano vive, operative, capaci di influenzare ragionamenti, aspettative e decisioni. Quante volte ci siamo accorti troppo tardi che qualcosa in cui credevamo non era mai esistito davvero?
Un esempio emblematico
L’esempio dei bambini e di Babbo Natale è emblematico: un racconto ripetuto, alcune immagini televisive, una letterina scritta con cura. È tutto ciò che basta per costruire un mondo interiore completo di emozioni, desideri e regole comportamentali. Il bambino agisce su indicazioni basate su un’entità immaginaria, convinto che da essa dipendano premi, attenzioni, riconoscimenti.
Ma siamo davvero sicuri che questo fenomeno riguardi solo l’infanzia? Che cosa accade quando, da adulti, incontriamo narrazioni più sofisticate, più persuasive, magari supportate da prove parziali o volutamente ambigue? In fondo, lL’adulto dispone di un bagaglio esperienziale più ampio, certo, ma non è immune!
Storie ben costruite possono spingerci a dedicare tempo, energie e risorse a obiettivi impossibili, a credenze infondate, a promesse che non verranno mai mantenute. Possono farci deviare da ciò che siamo, da ciò che vogliamo, persino da ciò che è realmente accaduto. E le conseguenze non sono una semplice delusione passeggera, come quella del bambino che scopre la verità su Babbo Natale: possono compromettere la salute mentale, alterare il senso di realtà, e condurre scelte che mettono a rischio la propria vita.
La domanda allora è inevitabile: quanto di ciò in cui crediamo nasce da ciò che abbiamo davvero vissuto, e quanto invece da ciò che qualcuno ci ha raccontato? E soprattutto: siamo pronti a riconoscere quando un’idea non è nostra, ma è stata installata come una backdoor che agisce nel silenzio della nostra mente?
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