In un’epoca segnata da guerre senza fine, conflitti che esplodono in continenti lontani e tensioni che quotidianamente riempiono i notiziari, diventa sempre più difficile custodire il ricordo di ciò che accade. E non perché farlo risulta troppo doloroso, ma semplicemente perché ci sembra quasi che non ne valga la pena. Anzi, il più delle volte risulta sicuramente più facile non vedere, voltarsi dall’altra parte, ignorare e correre il rischio di commettere quegli stessi errori che, forse, se avessimo prestato attenzione, avremmo potuto evitare.
Proprio per questo, abbiamo deciso di dedicare il nostro #FOCUS di questa settimana al Remembrance Day del Commonwealth, dal momento che non esso non consiste nell’ennesima commemorazione sterile che ci costringe, in un perpetuo ritorno e ripetersi di riti e riverenze, ad omaggiare aridamente il passato, ma ci fa fare i conti col nostro futuro: quanto siamo disposti ad imparare dai passi che altri, prima di noi, hanno già compiuto?
Cosa potrebbe insegnarci il Remembrance Day?
Come in molti sicuramente sapranno, l’11 novembre di ogni anno il Commonwealth celebra il Remembrance Day. Storicamente istituita per onorare le vittime della Prima Guerra Mondiale, nel corso del tempo si è trasformata sempre di più in un’occasione per riflettere su qualcosa di più ampio, come il significato della guerra e i costi umani che, di volta in volta, essa comporta. Certo, da un lato non si può negare che essa sia, ed è giusto che lo sia, un atto di riconoscenza e rispetto verso chi ha perso la vita in nome di qualcosa di più grande. Tuttavia, qual è lo scopo reale di una ricorrenza come questa se, alla fine, non facciamo altro che reiterare ciò che più di ogni altra cosa ci ostiniamo a condannare?

La memoria dovrebbe condurci, tutti, nessuno escluso, verso scelte più consapevoli. Eppure, in una realtà in cui i bambini vengono trucidati a Gaza (cliccate QUI per il nostro articolo a riguardo) sotto i nostri occhi, ogni giorno, oppure guerre silenziose, come quella in Sudan, continuano a mietere vittime per la bieca sete di potere di pochi, per citare alcuni esempi, diamo l’impressione di non adoperarci abbastanza affinché tali scenari non si ripetano. Vivere in una società globalizzata e digitale, poi, dove le notizie arrivano istantaneamente e l’indignazione si consuma in pochi click, sicuramente non aiuta e il rischio è che il ricordo diventi un rituale priva di senso, svuotato di qualsiasi significato concreto.
Ricordare per riflettere
Ed è alla luce di questo che il Remembrance Day deve acquisire una dimensione universale, per far sì che possa divenire un richiamo a quei valori che trascendono le epoche e i confini nazionali. Onorare la memoria significa interrogarsi sulle ingiustizie, sui conflitti, sulle tensioni che ancora oggi segnano il mondo. Significa riflettere su come la pace non sia un dato scontato, ma un traguardo da coltivare con impegno quotidiano, con dialogo e con responsabilità.
Ricordare per non dimenticare, quindi, diventa un invito alla consapevolezza, a riflettere sulle conseguenze delle azioni umane, le nostre, piccole o grandi che si possano ritenere. E perché no, magari perfino un incoraggiamento a coltivare maggiormente l’empatia, un sentimento che di questi tempi sembra essere divenuto quasi una debolezza. Perciò, l’11 novembre obblighiamoci a guardare al presente con occhi vigili e cuore aperto, perché fermarsi a ricordare non è un gesto nostalgico, per utilizzare un termine assai gradito ai più ultimamente, bensì un atto di civiltà!
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