Successo e fallimento: quando vincere diventa una prigione e perdere un atto di libertà

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Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta -Winston Churchill

Ho imparato fin da piccola che vincere è bello e perdere lo è decisamente molto meno. Quando frequentavo le scuole elementari, ad esempio, mio papà mi regalava mille lire ogni volta che la maestra mi scriveva “bravissima” nel quaderno. Se ricevevo questo giudizio lusinghiero, tornando da scuola, passavo davanti all’ufficio di mio padre e andavo lì ad intascare il mio premio. Ovviamente, quando ero solo “brava”, prendevo un’altra strada e tornavo a casa con la “coda in mezzo alle gambe”.

Per mio padre era un modo in buona fede per incentivare il mio impegno, per me era una cocente delusione ogni volta che il mio lavoro era giudicato meno che perfetto. Tuttavia, ho imparato col tempo che il successo può diventare una prigione, mentre il fallimento può rivelarsi un atto di libertà!

Gli ingredienti del vero successo: cadere per poi rialzarsi

Nel corso degli anni ho sempre pensato di dover guadagnare quella “mille lire” per sentirmi felice, importante, forte. Il fallimento? Non era contemplato. Mi impegnavo sempre al massimo per raggiungere risultati soddisfacenti, nel lavoro, nello studio, nelle arti, nella vita privata. È chiaro che non è stato sempre possibile. Il fallimento fa parte della vita e vincere sempre, oltre a non essere produttivo, è un’utopia irraggiungibile.

Ho iniziato a capire che forse avrei imparato molto di più attraverso i miei fallimenti che attraverso le sensazione di benessere che ti porta vincere. Perché è una bella sensazione. È inebriante: tutti ti osannano, ti riempiono di attenzioni, ti mettono sul capo la corona di alloro. L’applauso ti fa sentire importante, indispensabile, invincibile. Ma, prima o poi, cadi. È fisiologico. Commetti errori. E la caduta è spesso rovinosa e quelle stesse persone che ti hanno portato in palmo di mano, diventano poi i tuoi più feroci detrattori.

I grandi atleti ne sono una prova

È il caso dei grandi atleti. Marcell Jacobs è stato l’uomo più veloce del mondo. Ha vinto una delle più prestigiose medaglie d’oro dei Giochi Olimpici. Nella sua carriera non è più riuscito a eguagliare un risultato così grandioso, trovandosi nel mirino di tutti quei tifosi che solo fino a qualche mese prima lo definivano una sorta di Dio. Lui stesso ha dichiarato:

Le critiche mi hanno fatto molto male, arrivavano da ogni parte. Come se non gareggiassi per paura di qualcosa. Non scendevo in pista perché non ero in grado di farlo. I due anni dopo le Olimpiadi sono stati difficilissimi. Vincere un altro oro sarebbe positivo, ma non cambierebbe molto me o la mia immagine. Sono stato il primo italiano a vincerlo nei 100 metri, quindi quello che ho fatto resterà comunque storico. Non devo mostrare niente agli altri, solo a me stesso“.

È il caso di Jannik Sinner. Ora non più il numero uno al mondo, ha dimostrato che non si può essere umani e vincere ogni singola partita. Per lui, prima lodi sperticate, poi rabbia e cattiveria. E da eroe incontrastato è diventato il capro espiatorio di tutto l’odio social. Quella sensazione di euforia data dal successo è incredibilmente potente.

Sui social, poi, dobbiamo apparire perfetti, con volti levigati e stili di vita da milionari. Pena l’esclusione
sociale. Dobbiamo dimostrare a tutti costi che nulla ci scalfisce, che siamo meritevoli delle nostre
“mille lire”. Eppure! La sensazione di inutilità, quella sottile linea che cerchiamo di non varcare, che ci provoca tanta paura, è l’unica che ci permette di scavare attraverso i nostri pensieri più profondi. Perché spesso siamo così impegnati a dimostrare di avere successo che non ci rendiamo conto neanche di quali
siano i nostri più grandi desideri. Ed è nel fallimento che troviamo la strada.

Un vecchio detto diceva: “Quando si chiude una porta, si apre un portone”. Quello che ci sembra una battuta d’arresto, spesso diventa terreno fertile per qualcosa di più grande, di più remunerativo, di più
soddisfacente. Il successo e la vittoria dovrebbero essere visti come altezze da raggiungere non per essere felici o per mostrare una felicità fittizia, ma per godere di una vita piena delle cose che amiamo. Il successo dovrebbe alimentare il desiderio, la voglia di migliorare, di fare le cose che vogliamo davvero. Se è fine a sé stesso, diventa un involucro vuoto. Churchill diceva che è “il coraggio di continuare che conta”, perché la vita riserva sempre nuovi successi, nuove vittorie, nuove avventure!

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Calabrese di nascita e di temperamento, ha una passione innata per la parola scritta e parlata. Ha fatto dell’arte in tutte le sue sfaccettature la propria ragione di vita. Laureata al DAMS a indirizzo Musica e specializzata in Storia della musica rinascimentale, ha approfondito lo studio del canto, esibendosi in concerti sia come contralto solista sia in coro in tutto il centro e il nord Italia. Ha appreso l’arte del teatro e della danza e ha calcato i più disparati palcoscenici, fino ad arrivare a presentare eventi culturali e dedicati alla moda, soprattutto nel territorio veneto, dove ha vissuto per più di vent’anni. Attualmente è docente e, per dare spazio all’altra grande passione, la politica, fiera Consigliera di opposizione di un piccolo Comune calabrese.

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