Il film “Campo di battaglia” di Gianni Amelio è ambientato nell’ultima parte della Prima guerra mondiale, con riprese in location storiche del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino. Amelio ci racconta principalmente la storia di due amici, Stefano e Giulio, entrambi medici di guerra. La trama è liberamente tratta dal romanzo La sfida (Rizzoli, 2018) di Carlo Patriarca e ripercorre la Storia senza addentrarsi eccessivamente nelle questione e nelle ragioni belliche. Un excursus su di un rapporto, dal momento che, come diceva Eugenio Borgna:
Quello dell’amicizia è un tema fondamentale: riguarda ciascuno di noi. L’amicizia è infatti un vitale rapporto con il prossimo, capace di innescare un dialogo che ci trasforma reciprocamente
Cosa manca in “Campo di battaglia” e cosa lo rende intenso, godibile e tragicamente umano
Una storia avvincente, che tuttavia manca di qualcosa. Difatti, essa non affronta le valutazioni storiche dei pro e dei contro circa l’entrata in guerra dell’Italia, cioè non mette in scena “la bontà della scelta”. Eppure, qualche riferimento lo si poteva anche fare visto che la posizione “pro” era largamente sostenuta. Basti pensare al Premio Nobel per la Pace Ernesto Teodoro Moneta (1833 – 1918) o a colui che sarà il fondatore del Partito Popolare Italiano don Luigi Sturzo (1871 – 1959). Men che meno Amelio si preoccupa di darne un giudizio storico negativo. Anche in tal volere, avrebbe potuto affidare la faccenda ad uno dei protagonisti di quel tempo, per esempio papa Benedetto XV, che ebbe a definirla “una inutile strage”. In tale “astensione” di giudizio, forse, si cela un ingrediente per il successo che avrà la pellicola.
I dialetti e le minoranze linguistiche
La resa dell’opera sul grande schermo è a dir poco eccezionale, a mio avviso capace di affrontare la tematiche universale della guerra con uno sguardo attento alle dinamiche dell’amicizia, al tema spesso poco oggettivato della diserzione, ma anche all’uso del dialetto tra i giovani, amabilmente sottotitolati.
Non vuole essere un volo pindarico, ma viene alla mente che pochi giorni fa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ad Aosta, ha avuto modo di valorizzare le differenze di lingua e le identità che caratterizzano la nostra popolazione. E diciamocelo, Amelio sembra sintonizzato sulla stessa frequenza. In Italia, specialmente in passato, molti giovani arruolati provenienti da diverse regioni, parlavano il loro dialetto locale piuttosto che l’italiano. Questo accadeva perché la lingua italiana era meno diffusa e l’istruzione non era ancora capillare. In tal senso, il regista ci presenta un’Italia di un secolo fa, che potremmo etichettare “sfatta” e unita paradossalmente dalla miseria (aggravata dalla durata della guerra), intenta, forse per la prima volta dall’impresa di Giuseppe Garibaldi del 1861, a crearsi un’identità geopolitica.
La diserzione, un precursore della rivoluzione fascista?
La tematica della diserzione è combinata con l’autolesionismo, la vigliaccheria. Credo che il regista su questo aspetto si sia superato, sbattendo sul piatto una realtà cruda, a tratti horror, di cui spesso non si vuol tener conto. La guerra diviene terreno di scontro valoriale, intesa come “dovere” da taluni, viene contrapposta assiologicamente, a coloro che vivono la guerra come “follia”, da evitare a tutti i costi.
Curioso, da questo punto di vista, l’inserimento nella trama di un opportunismo di mestiere per disertare il fronte portato a sistema, retaggio, o forse logica continuazione, di una certa cultura mafiosa connivente allo stato monarchico, mai del tutto messa da parte, che si atteggiava a potere alternativo alle istituzioni, anticipando un altro fenomeno diversamente alternativo, soggetto ad altre risorse di “balordi illuminati”, noto con il nome di diciannovismo, precursore della ben più decantata rivoluzione fascista che si incuneerà nel quadro politico in quel triste 1922.
Tematiche e Narrazione
Uno degli aspetti più affascinanti del film è la rappresentazione del conflitto interiore tra i due protagonisti. La decisione di uno di loro di peggiorare le condizioni dei feriti per evitarne il ritorno al fronte è un tema potente che invita alla riflessione sulla natura del dovere e sulla responsabilità morale. Questa scelta crea una tensione drammatica che si sviluppa in modo avvincente, rendendo lo spettatore partecipe delle loro sofferenze e dei loro dilemmi. Nella parte finale del film si mette a tema anche la Spagnola, un’epidemia devastante che tra il 1918 e il 1919 ha colpito oltre 4 milioni e mezzo di persone, causando tra le 375.000 e le 650.000 morti.
Interpretazione e regia
Alessandro Borghi e Gabriel Montesi offrono performance eccezionali – Borghi in modo particolare -, conferendo originalità ai loro personaggi. La regia di Amelio scommette sulla valorizzazione della fragilità umana. Il corposo plotone di esecuzione nei confronti di un “traditore” m’è parso un tantino artificioso, eccessivamente efficiente direi, ma forse si tratta di un’impressione personale. La fotografia di Luan Amelio Ujkaj e la colonna sonora di Franco Piersanti hanno indubbiamente contribuito a creare una immersività coinvolgente.
Accoglienza in sala e proiezione a Venezia 81
In sala, durante la proiezione di “Campo di battaglia”, nella sera di sabato 7 settembre, non c’erano giovani. Un dato assolutamente parziale e locale (Milano) che sarebbe da approfondire per non ostentare inferenze sciocche dal punto di vista sociologico, ma tant’è.
Il film si distingue per la sua capacità di affrontare tematiche complesse con sensibilità e profondità. Gianni Amelio riesce a rendere omaggio alla storia, pur mantenendo un focus sulla dimensione umana dei suoi personaggi. È un’opera che merita di essere vista, non solo per il suo valore cinematografico, ma anche per il messaggio di pace e riflessione che trasmette. La sua presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia e le recensioni positive (a cui mi associo) ne attestano il potenziale impatto nel panorama cinematografico contemporaneo.
Credit foto di copertina: MyMovies.it
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