Carnevale, dai baccanali dell’Antica Roma alle maschere odierne: chi non si è mai lasciato andare ad un momento di “stra-ordinaria” follia?

5 mins read
Carnevale

Ormai ci siamo, il Carnevale è alle porte e quell’infinità di buffe maschere tornerà presto a tenerci compagnia, sebbene in alcune parti del mondo, Venezia in prima linea, i festeggiamenti siano già cominciati. La settimana che va dal prossimo 27 febbraio al 4 marzo, in particolare, vedrà culminare le celebrazioni di una delle feste più attese dell’anno. Ma qualcuno sa da dove arriva realmente e che significato abbia?

Come si è evoluto il Carnevale

Ebbene, pare che il Carnevale fosse una festa già esistente ai tempi dell’Antica Roma e che soltanto con l’avvento del Cristianesimo si sia trasformata in una ricorrenza che cade nei giorni precedenti alla Quaresima. Nello specifico, essa trae le sue origini dai Saturnali e dalle feste dionisiache del periodo classico greco. Si trattava di veri e propri baccanali in cui era lecito lasciarsi andare, liberarsi dagli obblighi e dagli impegni, abbandonandosi totalmente allo scherzo e al gioco. Ed è in questi contesti che le maschere assunsero una particolare importanza.

Difatti, esse venivano indossate dai partecipanti ai festeggiamenti per rendersi irriconoscibili e annullare, di conseguenza, qualunque tipo di differenza sociale, consentendo loro di “sfogarsi” e “divertirsi” nella maniera più assoluta. A tal proposito, esiste un proverbio associato al carnevale, derivato dall’antico detto latino, che recita:

Semel in anno licet insanire (Una volta l’anno è lecito impazzire)

Già, perché proprio durante la festa era lecito fare di tutto, d’altronde c’era la maschera che rendeva innocui, ragion per cui tutto era giustificato e nessuno era responsabile di offese o poteva permettersi il lusso di ritenersi offeso da tutti gli scherzi che poteva subire.

Tutti siamo stati “Carnevale”, almeno una volta nella vita

A tal proposito, il professore Giuseppe Martorana, ordinario di Storia delle Religioni dell’Università di Palermo, nel suo libro “Il Carnevale” ha affermato che: “Io, tutti, ognuno di noi almeno una volta nella vita è stato carnevale“. Effettivamente, dietro questa frase si cela una delle grandi verità dell’uomo, perché chi non ha mai vissuto un giorno di stra-ordinaria follia?! Quante volte viene alterata l’immagine di noi stessi per compiacere gli altri che, a loro volta, indossano una maschera? A dirla tutta, l’uomo vive ogni giorno mascherato e il Carnevale ne è il fenomeno che si esplica attraverso il travestimento. Lo stesso Luigi Pirandello una volta disse:

Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti

Etimologia della parola

Tornando a noi, però, nel corso del tempo, come già anticipato, la festività carnevalesca è andata incontro ad una evoluzione, complice l’avvento della religione di Cristo, e ha assunto molteplici significati. Da un lato, c’è quello di “togliere la carne” perché precede la Quaresima, periodo deputato al divieto di consumare per l’appunto carne; dall’altro lato, invece, c’è quello potrebbe apparire quasi come l’esatto opposto, ossia “l’apoteosi della carne”, la sua esaltazione. Due riferimenti simbolici che ne delineano dunque alla perfezione i tratti.

Ma cos’è rimasto del suo significato originario? E soprattutto come viene festeggiato oggi?

Il Carnevale odierno in Italia

Al giorno d’oggi, l’Italia è uno dei Paesi in prima linea per quel che riguarda i festeggiamenti carnevaleschi. Le sue maschere, nate in relazione a diverse regioni e ai costumi delle stesse, sono diventate popolari in numerose aree e si sono consacrate a simbolo di quello che per molti, grandi e piccoli, è divenuto un appuntamento imperdibile. Non a caso, la domenica che precede il Martedì Grasso si assiste alle sfilate dei carri e delle maschere caratteristiche, in relazione alle quali la città lagunare più famosa d’Occidente e Viareggio sono le punte di diamante. Ogni sfilata esalta la propria maschera, che ha un significato e un messaggio ben precisi: sapevate che ciascuna di esse è nata come forma di protesta o caricatura satirica verso un regime o verso i ricchi signorotti della propria epoca?

Forse no! Ebbene, ora che lo sapete, scopriamo insieme le origini e il significato delle più popolari maschere nostrane:

Carnevale
Credit: LOpinione.com

I classici

  • Arlecchino (Lombardia): di origini bergamasche, è la maschera più vivace e scanzonata della Commedia dell’Arte. Nota per il suo costume variopinto e il carattere furbo ma bonario, è sempre in cerca di stratagemmi per sfuggire alla fame.
  • Pulcinella (Campania): simbolo della tradizione napoletana, incarna l’arguzia e l’imprevedibilità del popolo partenopeo, con il suo abito bianco, la maschera nera e la voce stridula che lo rendono unico.
  • Pantalone (Veneto): originario di Venezia, rappresenta il vecchio mercante avaro e lussurioso, tipico della borghesia veneziana del XVI secolo, spesso ingannato dai più giovani per la sua smania di ricchezza.
  • Colombina (Veneto): anche lei veneziana, è la servetta astuta e maliziosa, spesso complice di Arlecchino, che con la sua intelligenza e prontezza riesce a sventare i piani dei padroni.

I caricaturali

  • Brighella (Lombardia): proveniente da Bergamo come Arlecchino, è più astuto e intraprendente, una figura di servo intrigante e opportunista, spesso capace di manipolare le situazioni a proprio vantaggio.
  • Balanzone (Emilia Romagna): maschera bolognese, è la caricatura del dottore saccente e pedante, che con il suo linguaggio forbito cerca di impressionare gli altri, pur dicendo spesso sciocchezze.
  • Gianduja (Piemonte): simbolo del Piemonte, è un personaggio allegro e gioviale, incarnazione dello spirito bonario e indipendente dei torinesi, famoso anche per aver dato il nome ai celebri cioccolatini.
  • Meneghino (Lombardia): maschera tipicamente milanese, è un servo onesto e scanzonato che ama prendere in giro i potenti, incarnando lo spirito arguto e laborioso lombardo.

Quelli meno “main-stream”

  • Rugantino (Lazio): maschera romana, è il tipico spaccone dal cuore buono, che ostenta sicurezza ma nasconde una natura più sensibile e ironica, rappresentando lo spirito del popolo della Capitale.
  • Stenterello (Toscana): di origine fiorentina, è il simbolo della sagacia e dell’ironia toscana, sempre pronto a battute mordaci nonostante la sua condizione di povertà e difficoltà.
  • Lanzette (Valle d’Aosta): le Lanzette sono maschere legate alla tradizione del Carnevale di Verrès, caratterizzate da abiti eleganti e maschere raffinate che rievocano le sfarzose atmosfere medievali della regione.
  • Farinella (Puglia): prende il nome da un’antica farina di ceci e orzo e si distingue per il suo abito colorato che ricorda Arlecchino, simboleggiando l’allegria e la tradizione contadina locale.
  • Frappiglia (Abruzzo): rappresenta lo spirito festoso e irriverente del Carnevale, con un aspetto burlesco e colorato che richiama le antiche celebrazioni popolari della regione.
  • Capitan Spaventa (Liguria): è una maschera della Commedia dell’Arte che rappresenta il tipico spadaccino fanfarone e millantatore, sempre pronto a raccontare imprese eroiche mai compiute.
  • Blumari (Sardegna): è una figura carnevalesca legata alle antiche tradizioni contadine, con un abbigliamento che richiama la natura e il mondo pastorale dell’isola.
  • Masciolino (Sicilia): è una figura legata alle tradizioni popolari dell’isola, simbolo dell’arguzia e dell’ingegno del popolo siciliano.

E questi li conoscevate?

  • La Tufara (Molise): la maschera della Tufara è legata a riti pagani di purificazione, con figure vestite di pelli animali che rappresentano il legame con la terra e la tradizione contadina.
  • Giangurgolo (Calabria): è un fanfarone spaccone con un grande naso e un abito stravagante, che incarna la voglia di apparire e il carattere scanzonato della cultura popolare della regione.
  • Rumit (Basilicata): è un uomo-albero, coperto di foglie di agrifoglio, simbolo del rapporto tra uomo e natura e della rinascita primaverile.
  • Beppe Nappa (Sicilia): è un servo pigro, goffo e ghiottone, spesso raffigurato con un abito azzurro e pantaloni larghi. Nonostante la sua svogliatezza, riesce sempre a cavarsela con astuzia e simpatia, rappresentando lo spirito giocoso della tradizione popolare siciliana.

Per rimanere aggiornato sulle ultime opinioni, seguici su: il nostro sitoInstagramFacebook e LinkedIn

Bartolomeo Di Giovanni (detto Theo) è nato a Palermo il 2 Giugno 1975, ha conseguito la laurea in filosofia presso l’università di Palermo, docente di materie umanistiche. Ha collaborato con realtà poetiche dei paesi dell’Est, e del Messico, ha in attivo diverse pubblicazioni di silloge poetiche e saggi di filosofia psicopedagogica, le opere sono state tradotte in Spagnolo, Russo, Rumeno, Arabo. Scrive per alcune riviste articoli sulla cultura letteraria antica e contemporanea, esperto e studioso di Dante Alighieri e di Ebraico biblico. Nel 2013 fonda il movimento culturale “Una piuma per Alda Merini” per la salvaguardia del patrimonio poetico della poetessa dei navigli. Collabora con Wikipoesia per la estensione della nascente Repubblica dei Poeti, di cui è console e cavaliere con distintivo dell’ Ordine di Dante Alighieri. Ha ricevuto da parte della Ordine dei poeti della Bielorussia, e di altre realtà culturali l’appellativo di “Vate”. Nel 2024 gli viene conferito il premio : Cattedra della Pace, tenutosi ad Assisi, nello stesso anno diviene vicepresidente di WikiPace.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Previous Story

Gli alberi, maestri silenziosi di resilienza e generosità

Next Story

Strasburgo, “epidemia di danza” nel 1518: il primo flash-mob della Storia o un disperato atto rivoluzionario?

Latest from Blog