Cristina Di Silvio e il diritto negato: la lunga battaglia degli avvocati per difendere le donne vittime di violenza

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Cristina Di Silvio

In un momento storico in cui la violenza contro le donne assume contorni sempre più drammatici, tanto nei numeri quanto nella brutalità, è fondamentale tornare a riflettere su un aspetto spesso trascurato. C’è un aspetto di quest’ultima, in effetti, di cui si parla ancora troppo poco, ma che, al tempo stesso, tocca il lato più intimo e profondo della nostra idea di civiltà: il modo in cui la giustizia ha, per lungo tempo, ignorato — o peggio, tradito — le donne che cercavano protezione e ascolto.

Per anni il diritto si è presentato come neutrale, tuttavia, in più di un’occasione, è sembrato in realtà uno specchio delle disuguaglianze sociali e culturali più profonde. Nelle aule di tribunale, e non solo, spesso e volentieri chi denuncia una violenza viene guardato con sospetto, messo sotto accusa ancor più dell’aggressore, vittima una seconda volta di un sistema incapace di riconoscere il proprio pregiudizio. Un aspetto della nostra mentalità e della nostra società che la consulente, imprenditrice e collaboratrice intergovernativa Cristina Di Silvio ha voluto analizzare, ripercorrendo la lunga e silenziosa battaglia di chi, sceglie quotidianamente di non voltarsi dall’altra parte perché il diritto alla difesa non è soltanto un principio teorico: è un impegno concreto, quotidiano, che deve valere per tutti.

Ma è davvero così, oggi, per chi trova il coraggio di denunciare? Questo intervento invita a riflettere, e a non abbassare la guardia.

L’intervento di Cristina Di Silvio: “La parola di una donna messa in dubbio, spesso ridicolizzata”

Credit: web

Per decenni, la giustizia ha voltato le spalle alle vittime. Tra ostacoli culturali e vuoti normativi, gli avvocati hanno lottato per rendere la difesa un diritto davvero universale. In un’aula di tribunale, il diritto alla difesa dovrebbe valere per tutti. Ma per le donne vittime di violenza, non è sempre stato così. Fino a pochi decenni fa, il sistema giuridico italiano – come molti altri in Europa – non solo ignorava la sofferenza femminile, ma la relegava ai margini, mettendo spesso sotto processo la vittima anziché l’aggressore.

Gli avvocati e le avvocate che sceglievano di difendere queste donne si trovavano a combattere una doppia battaglia: contro l’autore della violenza e contro un intero impianto culturale e giuridico intriso di pregiudizi. ‘In certi casi, sembrava quasi che si volesse difendere l’indifendibile’, racconta un’avvocata penalista attiva da oltre trent’anni nella difesa delle donne. ‘La parola di una donna, specie in casi di violenza sessuale o domestica, veniva sminuita, messa in dubbio, persino ridicolizzata’.

Un’evoluzione lenta e tardiva figlia di una mentalità patriarcale

Fino al 1981, in Italia esisteva ancora il delitto d’onore: un uomo che uccideva la moglie, la figlia o la sorella per “riacquistare l’onore” godeva di una pena ridotta. Sempre negli stessi anni, un uomo poteva evitare la condanna per stupro se sposava la vittima. Norme che oggi sembrano inaccettabili, ma che per decenni hanno rappresentato l’ostacolo più grande per chi cercava giustizia. Poi, lentamente, qualcosa è cambiato.

Con la spinta dei movimenti femministi e il lavoro costante di avvocati, magistrati e associazioni, l’Italia ha iniziato a modificare il suo approccio alla violenza di genere. L’abolizione del matrimonio riparatore, la legge sullo stalking, il “Codice Rosso” e la ratifica della Convenzione di Istanbul sono tappe fondamentali di questo percorso. Eppure, le difficoltà non sono finite.

‘Ci sono ancora processi in cui si giudica come la vittima era vestita, cosa ha detto, se ha bevuto’, denuncia una legale esperta di diritti umani. ‘La cultura patriarcale è dura a morire, e spesso si insinua anche tra le pieghe del diritto’. Il ruolo degli avvocati oggi è ancora decisivo. La formazione continua, la sensibilità nel trattare i casi, la capacità di creare rete con i centri antiviolenza sono strumenti imprescindibili per rendere effettivo il diritto alla difesa. Non solo per chi è accusato, ma anche – e soprattutto – per chi ha il coraggio di denunciare.

Un fenomeno globale in aumento

La violenza contro le donne è un fenomeno globale in preoccupante aumento, con dati allarmanti che emergono da rapporti recenti delle Nazioni Unite. Nel 2023, sono state uccise intenzionalmente oltre 85.000 donne e ragazze, con una media di 140 al giorno. Di queste, circa il 60% è stato ucciso da partner o familiari, sottolineando che la casa rimane il luogo più pericoloso per le donne. In Africa, si è registrato il numero più alto di femminicidi, con circa 21.700 vittime, seguito da Asia, Americhe e Oceania. Il 50% dei casi di violenza sessuale legata ai conflitti è aumentato nel 2023, con donne e ragazze vulnerabili in paesi come Afghanistan, Ucraina, Colombia e Iraq.

Le disuguaglianze di genere, gli stereotipi culturali e la mancanza di accesso alla giustizia contribuiscono a mantenere la violenza contro le donne in molte società. In Europa, circa una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della sua vita. In Italia, le richieste di aiuto sono aumentate del 57% nel 2024, con 6587 casi di violenza sessuale registrati, di cui il 91% ha come vittime donne. Leggi più robuste, migliore raccolta dei dati, maggiore responsabilità governativa e finanziamenti per le organizzazioni per i diritti delle donne sono essenziali per affrontare questa crisi.

Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha definito la violenza contro le donne una “vergogna per l’umanità”, sottolineando che nessun paese o comunità è esente e la situazione sta peggiorando. Questi dati evidenziano la necessità urgente di interventi globali coordinati per prevenire e combattere la violenza contro le donne. Perché il diritto alla difesa è davvero universale solo quando anche le voci più fragili trovano finalmente ascolto“.

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