Dalle preghiere di pace ad Assisi nell’86 alla propaganda pacifista contemporanea: quando la Chiesa risuonava più forte di qualsiasi ambizione

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Assisi

Per la prima volta nella Storia […] ci siamo ritrovati da ogni parte – Chiese cristiane, comunità ecclesiali e religioni del mondo – in questo luogo sacro a San Francesco, per testimoniare davanti al mondo, ciascuno secondo le proprie convinzioni, la qualità trascendente della pace – Il Vaticano

Sono queste le parole con cui la Santa Sede descrisse quello che si sarebbe poi rivelato un evento sicuramente inusuale e che oggi, tenendo in considerazione ciò che accade intorno a noi ogni giorno, definiremmo addirittura all’avanguardia. Il 27 ottobre del 1986, infatti, Papa Giovanni Paolo II invitò a riunirsi ad Assisi, nella città di San Francesco, i capi delle Chiese cristiane di ogni confessione e i rappresentanti delle più grandi religioni del mondo affinché, tutti insieme, potessero pregare per la pace. Non fu una conferenza diplomatica ma, per l’appunto, “una giornata di preghiera”, per citare testualmente le parole del Pontefice, sebbene, ripensandoci ora, possa avere un impatto politico e sociale ben più forte di quello a cui qualsiasi campagna di propaganda pacifista contemporanea potrebbe mai ambire.

Il silenzio della preghiera di Assisi contro il rumore delle armi

Quel giorno si respirava un’immagine di possibilità. Silenzio, digiuno, preghiera e riflessione furono i mezzi attraverso i quali si invitava a guardare oltre l’arena politica, ad andare al di là di qualunque logica di potere e a superare le barriere interposte dalle differenze religiose, nella speranza di poter attingere alla sorgente più profonda, e più pura, della coscienza umana e della fede stessa. Eppure, da quel momento fino ad oggi, il mondo ha continuato a produrre conflitti: alcuni “locali”, altri globali, ma tutti con segnali evidenti, in certi casi, di fragilità della pace mentre, in altri, con ostacoli apparentemente insormontabili per una sua piena realizzazione. Pertanto, ciò che si creò quel giorno fu soltanto un’illusione?

In una realtà ancora segnata dalla Guerra Fredda, dal confronto ideologico, dalla corsa agli armamenti, da tutto ciò che possiamo vedere intorno a noi ancora oggi, Assisi rappresentò un’interruzione, una chiara dimostrazione che può esserci un altro tipo di “cantiere di pace” oltre quello della politica e della propaganda fine a se stessa: religioni che si mettevano in cammino insieme, non per uniformarsi, ma per “pregare insieme” e dare il via ad un dialogo interreligioso fatto di rispetto reciproco e di impegno serio, ingredienti fondamentali che, perlomeno al momento, e alla luce dei conflitti in atto, sembrano mancare totalmente.

Dall’Ucraina a Gaza, quando la “pace” viene utilizzata come palcoscenico

Come già accennato, in tutti questi anni abbiamo assistito a guerre che strisciano o esplodono violentemente, per le quali la diplomazia appare fragile, o volutamente inefficiente, e la retorica incerta, in un contesto in cui a predominare pare siano solamente le armi e le ambizioni di chi, della pace, non ne farebbe una priorità assoluta. Basti pensare al conflitto fra Russia e Ucraina, trasformatosi in una lunga guerra d’attrito tra Occidente e Oriente combattuta non solo sul campo, ma anche a colpi di mediazioni e summit che assomigliano più ad esercizi simbolici che ad altro. Oppure, al genocidio perpetrato nella Striscia di Gaza (cliccate QUI per il nostro articolo a riguardo) e a quel “Cessate il Fuoco” che, forse, nessuno ha mai voluto rispettare.

Credit: web

Insomma, se il gesto di Assisi richiedeva silenzio e conversione di cuore, qui appare forte (e, in alcuni casi, indelebilmente chiaro) il rumore degli interessi, della diplomazia spettacolare, della “pace” usata come brand politico. Non a caso, sono diversi i leader politici che, tramite accordi in mondovisione e strette di mano a favor di telecamera, hanno fatto della pace il proprio palcoscenico propagandistico. Pensiamo, ad esempio, a Donald Trump, l’auto-promossosi fautore della fine di ogni conflitto di “questo e qualche altro mondo“, come direbbe il nostro Direttore, che sulla carta non è riuscito ad attuare alcun tipo di risoluzione positiva per nessuno, se non per sé. O ancora, a Putin e Zelensky che, ogniqualvolta si parla di “piano di Pace” in Ucraina, restano su posizioni inconciliabili e le voci diplomatiche si fanno contraddittorie.

Viviamo la pace, piuttosto che commemorarla!

È ancora credibile e possibile un cammino di pace che prenda il via da interessi comuni anziché vantaggi personali? Il ricordo di quel 27 ottobre di quarant’anni fa non è solo una pagina bianca di storia, ma è anche (e soprattutto) un appello. Perché? Ebbene, perché non serve a nulla ‘celebrare’ ciò che i leader religiosi di quel preciso periodo storico fecero. Al contrario, bisogna chiedersi cosa abbiano fatto dopo e, possibilmente, arrivare a seguirne le orme, dal momento che la pace non é un progetto da negoziare, ma una strada da intraprendere ogni giorno. O perlomeno, è così che dovrebbe essere!

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Classe 1996, studente laureando in “Lingue, Culture, Letterature e Traduzione” presso l’Università di Roma ‘La Sapienza’. Appassionato di scrittura, danza, cinema, libri, attualità, politica, costume, società e molto altro, nel corso degli anni ha collaborato con diversi siti d'informazione e testate giornalistiche (cartacee e digitali), tra cui Metropolitan Magazine, M Social Magazine, Spyit.it, Art&Glamour Magazine ed EVA3000. Ha scritto alcuni articoli per la testata giornalistica cartacea ORA Settimanale. Ha curato progetti in qualità di addetto stampa, ultimo dei quali "L'Amore Dietro Ogni Cosa" (NewMusic Group, 2022). Attualmente, è redattore presso la testata giornalistica Vanity Class e caporedattore per L'Opinione.

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