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L’assassinio di Sister George (1968), dalla censura del passato alla rivalutazione moderna

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L'assassinio di Sister George

L’assassinio di Sister George: Inghilterra fine anni Sessanta. La non più giovane June Buckridge (Beryl Reid) lavora come attrice in una famosa serie televisiva in bianco e nero della BBC chiamata Applehurst nel ruolo di Sister George, un’arzilla infermiera che va in giro in motoretta e aiuta gli abitanti del suo villaggio. La Soap Opera è molto apprezzata e il ruolo della Buckridge è quello più longevo e amato dal pubblico londinese.

La trama

Nella vita reale, però, la donna non è soddisfatta e dietro la maschera della beniamina televisiva si cela una persona con nevrosi, frustrazioni, dedita all’alcol e con una storia alquanto sbilanciata con una ragazza molto più giovane di nome Alice (Susannah York). Le due donne vivono nella casa di June e tra loro si è instaurato un rapporto al limite del sadomasochismo. La situazione precipita quando June, visibilmente ubriaca, irrompe all’interno di un taxi e provoca, scandalizzando, due povere suore. La BBC invia quindi la produttrice della serie, la signora Croft (Coral Browne) la quale si reca a casa dell’attrice per informarla che il suo ruolo di Sister George rischia di essere soppresso soprattutto a causa dei comportamenti bizzarri della donna.

Locandina ufficiale del film/Credit: Filippo Kulberg Taub

La conferma della dipartita del personaggio avviene durante una festa in un noto nightclub per sole donne al quale la Buckridge ha deciso di invitare la signora Croft. L’idea di dover morire nella serie non viene accettata da June che si rifà su Alice e sui membri del cast durante la festa di addio. Da quel momento le cose prenderanno una piega inaspettata per June, per Alice e per la Croft in un triangolo d’amore e di odio e di cose non dette.

“L’assassinio di Sister George” trova il suo riscatto soltanto oggi

Robert Aldrich acquistò i diritti dell’opera teatrale omonima nel 1967 e propose la parte della protagonista sia a Bette Davis sia ad Angela Lansbury che rifiutarono di buon grado. Alla fine, la scelta ricadde sulla Reid che proprio quell’anno aveva vinto un Tony Award come migliore attrice nello stesso ruolo portato a teatro.

Il cast

Beryl Reid è perfetta nella parte dell’attrice di mezza età, alcolizzata, saffica, eccentrica e spigolosa. Il personaggio di Sister George/June da lei creato è strepitoso e pieno di sfaccettature. A farle da contraltare, la bravissima Susannah York (Images, Robert Altman, 1972) nel ruolo di Alice, bambina mai cresciuta ma in realtà una donna di trentadue anni che non rinuncia alla sua collezione di bambole e che non sempre accetta di essere sottomessa dalla sua amante. La York, bellissima, dagli occhi azzurri e dai capelli corti biondi, è l’emblema della femminilità, un giglio infranto che all’inizio della pellicola prova a fronteggiare e a placare le gelosie e gli isterismi della sua compagna sebbene il più delle volte, il suo atteggiamento, dia adito a molteplici discussioni e incomprensioni.

Frame della pellicola/Credit: Filippo Kulberg Taub

L’accoglienza

Quasi tutto il film è girato in interni (quella della modesta abitazione e quelli televisivi) e viene dato poco spazio all’immaginazione. A chiudere il cerchio di questo film splendidamente fotografato da Joseph F. Biroc è la superba interpretazione dell’altra donna, l’attrice inglese Coral Browne, moglie del celebre Vincent Price, che darà grande prova di attrice in questo film sottovalutato dalla critica dell’epoca e fortemente censurato. In Italia arrivò con tagli e censuri di quasi venti minuti. Oggi, grazie al restauro in 4K e ad una nuova masterizzazione su supporto DVD, L’assassinio di Sister George è disponibile per un più vasto pubblico e per ottenere il favore tanto meritato all’epoca.

La Browne, nel ruolo dell’arcigna e mefistofelica produttrice televisiva è una donna quasi sempre pacata, forse troppo, che non ha simpatia né stima nei confronti dell’anziana protagonista, invecchiata dall’alcol e dalle delusioni della vita. Ottima nella parte, la Browne riesce in determinati momenti della pellicola, a rubare letteralmente la scena alle due comprimarie, mettendole in ombra con il suo sguardo diabolico e quasi di schifo, soprattutto nei confronti del personaggio interpretato dalla Reid.

Un film non adatto a tutti e voluto a tutti i costi da Aldrich, non deluderà le aspettative degli appassionati studiosi di un certo tipo di cinema. La scelta di approfondire la tematica lesbica non presente nell’opera teatrale originale, fu considerata all’epoca forse un azzardo ma è proprio grazie ad essa che si è potuto analizzare un microcosmo tutto al femminile che doveva rimanere nascosto perché non accettato dai benpensanti della società.

E voi per chi farete il tifo? Sister George merita di morire? A voi come sempre l’ardua sentenza!

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Studioso e appassionato di cinema internazionale. Ha dedicato i suoi studi alle grandi figure femminili del cinema del passato specializzandosi alla Sapienza di Roma nel 2007 e nel 2010 su Bette Davis e Joan Crawford. Nel 2016 ha completato un dottorato di ricerca in Beni culturali e territorio presso l’Università di Roma, Tor Vergata con una tesi sull’attrice israeliana Gila Almagor. Ha scritto diversi saggi e articoli di cinema e pubblicato l’autobiografia inedita in Italia di Bette Davis, Lo schermo della solitudine (Lithos). Oggi insegna Lettere alle nuove generazioni cercando sempre di infondere loro fiducia e soprattutto amore per la storia del cinema.

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