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La bambola di pezza (1966): il thriller dimenticato che gioca con memoria, follia e fantasmi

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La bambola di pezza

La bambola di pezza: America, seconda metà degli anni Sessanta. La giovane Susan Shelley (Susan Gordon) ha trascorso tanto, troppo tempo al Convento Saint Mary dopo aver subito il trauma della morte di sua madre, la facoltosa e glaciale Jessica (Zsa Zsa Gabor), a causa di un incendio scoppiato nella sua camera da letto tre anni prima. Susan non ricorda nulla di quella terribile notte e proprio a causa della paura del ricordo, è regredita fino ad essere tornata una bambina incapace di prendersi cura di sé stessa.

Credit: web

Suo padre, Edward (Don Ameche) si è sposato in seconde nozze con la sua ex governante, Francine (Martha Hyer), bionda algida e calcolatrice. La donna, infatti, è amante del lusso più sfrenato e insieme al marito, è riuscita a dilapidare le ricchezze di famiglia. Susan viene, quindi, riportata a casa, proprio perché senza la sua firma, suo padre non potrà gestire ciò che resta del patrimonio di famiglia (l’eredità di Jessica) che appartiene di diritto alla ragazzina al compimento dei suoi 25 anni d’età. Il ritorno nella grande magione di famiglia non farà altro se non amplificare i ricordi disturbati della giovane che continua a fare orribili incubi.

L’incontro con il cugino sfigurato Anthony Flagmore (Maxwell Reed) peggiorerà una situazione già precaria e instabile.

Tra segreti e memorie “La bambola di pezza” è un incubo elegante

Bert Ira Gordon (1922) dirige un film di stampo giallo thriller con estrema delicatezza mettendo al centro della storia la protagonista che alterna momenti di lucidità a momenti di pura isteria. La Gordon, infatti, figlia naturale del regista (deceduta nel 2011), si trova a doversi confrontare con mostri sacri del cinema e del teatro in un ambiente apparentemente tranquillo.

Il quadro della Gabor messo in bella vista nella grande dimora, la mostra fiera, altezzosa e sorridente quasi a voler sbeffeggiare tutti gli altri. La donna anche da morta troneggia su tutti e il suo spirito inquieto aleggia tra i corridoi mentre Susan è alla disperata ricerca della sua memoria perduta: tenendo in mano una vecchia bambola, si sente spesso una cantilena infantile “striscia qua, striscia là, mille vermi strisciano già”.

Una pellicola intrigante

Intrigante è l’aggettivo che più si addice a questo vecchio film che non ha nulla da invidiare ai più moderni thriller piscologici. Ben recitato e soprattutto ben sceneggiato, La bambola di pezza è un diamante grezzo che merita di essere rivalutato. Ogni personaggio si muove sulla scena come se facesse parte di una scacchiera bicolore. Ogni mossa, infatti, è ben studiata e persino le battute del film sono studiate e recitate alla perfezione.

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Film di nicchia, l’opera di Gordon è riuscita a mantenere vivo il suo fascino e il suo potere invasivo nonostante l’impietoso scorrere del tempo. Don Ameche, nel ruolo dell’amorevole padre, qui in veste di una sorta di Gomez Addams, viene ricordato per l’Oscar vinto in qualità di miglior attore non protagonista nel 1986 per il film “Coocon – L’energia dell’Universo” (Ron Howard, 1985). Zsa Zsa Gabor, qui in una sorta di cameo, è splendida più che mai e, nonostante i pochi frames nei quali compare, ruba la scena a tutti con i suoi antichi stratagemmi e il viso di gomma.

Interessante, anzichenò, è anche il ruolo dell’attrice Martha Hyer che otterrà il suo primo ruolo importante al fianco di Martin, Sinatra e della MacLaine nel film drammatico di Minnelli, “Qualcuno verrà” (“Some Came Running”, 1958) di Vincente Minnelli e per il quale fu candidata all’Oscar alla miglior attrice non protagonista.

Buona visione a tutti!

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Studioso e appassionato di cinema internazionale. Ha dedicato i suoi studi alle grandi figure femminili del cinema del passato specializzandosi alla Sapienza di Roma nel 2007 e nel 2010 su Bette Davis e Joan Crawford. Nel 2016 ha completato un dottorato di ricerca in Beni culturali e territorio presso l’Università di Roma, Tor Vergata con una tesi sull’attrice israeliana Gila Almagor. Ha scritto diversi saggi e articoli di cinema e pubblicato l’autobiografia inedita in Italia di Bette Davis, Lo schermo della solitudine (Lithos). Oggi insegna Lettere alle nuove generazioni cercando sempre di infondere loro fiducia e soprattutto amore per la storia del cinema.

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