Il Premio Nobel per la Pace 2025 ha riconosciuto in María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, la sua vincitrice “per il suo instancabile impegno nella promozione dei diritti democratici e per la sua lotta pacifica contro l’autoritarismo in Venezuela“. Una decisione che risuona fortemente con la storia del premio in sé e con un nome che ne incarna, più di chiunque altro, l’essenza: Martin Luther King, che ricevette tale riconoscimento in questo stesso giorno, ma nell’ormai lontano 1964, per la sua lotta non violenta per i diritti civili negli Stati Uniti. Come King, infatti, Machado ha scelto la via del coraggio civile, opponendo la forza morale alla repressione. E allo stesso modo, ha fatto della parola e della coerenza la sua unica arma.
Perciò, ora come allora, il Nobel sembra voler ricordare che la pace non è solo l’assenza di guerra, ma la presenza di giustizia; un monito che nel contesto geopolitico e bellico attuale ha una notevolissima rilevanza.
Il Nobel manda un messaggio chiaro, ma non sfugge alla politica
Dal 2023, Machado vive nascosta per timore delle persecuzioni politiche del regime di Nicolás Maduro. Il suo volto, simbolo dell’opposizione venezuelana, lo hanno cancellato dalle elezioni, hanno vietato i suoi comizi, hanno perseguitato i suoi collaboratori. Eppure, la sua voce non si è spenta: il Nobel arriva come riconoscimento di anni di lotta civile, di un impegno che ha superato confini e minacce. A tal proposito, il Comitato norvegese ha sottolineato che la sua scelta si fonda su un percorso pluriennale, non su simpatie politiche o pressioni internazionali: un messaggio chiaro a chi pensa che la diplomazia urlata possa sostituire la coerenza quotidiana.
Ciò nonostante, come spesso accade, il Nobel non sfugge al circo politico. Donald Trump, che da mesi si proponeva (più o meno velatamente) come candidato ideale al premio per i suoi “sforzi di pace”, ha reagito con la consueta teatralità. Il direttore delle comunicazioni ha perfino accusato il Comitato di aver “anteposto la politica alla pace“, quasi che il Nobel dovesse premiare il volume della propaganda e non la sostanza delle azioni. Ironia della sorte, Machado dedica il suo Nobel proprio al Presidente degli Stati Uniti, ringraziandolo per il supporto alla sua causa e dichiarandosi sostenitrice della sua visione internazionale. Un gesto che mescola idealismo e calcolo, gratitudine e strategia, il tutto con una disarmante spontaneità latinoamericana.
La libertà vale più della paura
Dal pulpito di una chiesa di Montgomery alle piazze di Caracas, il messaggio sembra lo stesso: la libertà costa, ma vale più della paura. King affrontava la segregazione armato solo di parole; Machado sfida un regime armato solo della sua voce. Entrambi hanno trasformato la resistenza non violenta in una forma di potere morale. Sfortunatamente, però, mentre il reverendo King sognava una società capace di “giudicare gli uomini per il loro carattere, non per il colore della loro pelle”, Machado combatte per un Venezuela che torni a giudicare i cittadini per il loro voto, non per la loro fedeltà al regime.
In tempi in cui i più sembrano ridurre la pace ad una parola da campagna elettorale, il Nobel a Machado ricorda che il coraggio non è urlare più forte, ma restare coerenti quando il mondo tace. È un riconoscimento che divide, certo, ma anche uno che costringe a guardarsi allo specchio: chi oggi reclama la pace come trofeo, forse ha dimenticato che essa nasce dal sacrificio, non dalla scena! Anche perché, come rammentò King in persona:
La vera pace non è semplicemente l’assenza di tensione: è la presenza della giustizia
Un Nobel meritato, dunque non per diplomazia o simpatia, ma per una lotta vissuta in clandestinità, con la dignità di chi sa che la libertà, per essere reale, deve costare qualcosa. E se Martin Luther King avesse potuto assistere a questo riconoscimento, probabilmente avrebbe sorriso: la storia, a volte, ripete i suoi insegnamenti, anche in mezzo al rumore della politica!
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