Quella della “Festa della Repubblica” non è soltanto una mera (e per molti, forse, l’ennesima) ricorrenza civile che viene ricordata nel nostro Paese. Anzi, il 2 incarna le radici profonde della nostra identità democratica, ergendosi a emblema dell’atto fondativo della Repubblica Italiana. In quel giorno del 1946, infatti, il popolo italiano, per la prima volta chiamato a votare a suffragio universale, scelse di voltare pagina dopo il fascismo e la monarchia, proclamando la nascita della Repubblica. Non si trattò solamente di un cambiamento di forma istituzionale, ma di un vero e proprio atto di rigenerazione collettiva: una promessa di libertà, partecipazione e sovranità popolare.
Un popolo che sceglie: le origini della Festa della Repubblica
Ebbene sì, perché, checché ne dicano quelli che invitano a non partecipare al voto i prossimi 8 e 9 giugno, il referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946 rappresentò il punto di arrivo di un percorso di sofferenza e resistenza, ma anche (e soprattutto) l’inizio di un nuovo cammino. Dopo vent’anni di regime fascista e cinque anni di guerra devastante, gli italiani scelsero — con 12.718.641 voti contro 10.718.502 — la Repubblica. Da quella scelta nacque anche l’Assemblea Costituente, che avrebbe poi redatto la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
La Repubblica nasce dunque da un contributo attivo dei cittadini, da un popolo che si assume la responsabilità del proprio destino e la “carta” che ne seguì non fu solo un insieme di norme, ma un patto che definì i diritti inviolabili, l’equilibrio dei poteri, la centralità del popolo e il dovere delle istituzioni di agire sempre nel rispetto della dignità umana. Lo stesso Piero Calamandrei, tra i padri della Costituzione, in un discorso agli studenti di qualche anno più tardi, era il 1955, ricordò che:
La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare
Parole che, alla luce dei più recenti sviluppi e della corrente di pensiero che si sta diffondendo in tutto l’Occidente, ci rammentano con forza di non dare mai per scontate le conquiste democratiche
Una festa da difendere
Di conseguenza, celebrare oggi il 2 giugno significa molto di più che onorare una data storica. Sta ad indicare la volontà di riaffermare, continuamente, il valore della Repubblica in un tempo in cui, purtroppo, si avvertono crepe sempre più visibili nella tenuta democratica del Paese. Troppe volte, in tempi recenti, provvedimenti governativi, atteggiamenti istituzionali e pulsioni autoritarie hanno lasciato l’impressione di volersi porre in contrasto con i NOSTRI principi costituzionali.
Non si tratta solo di scelte discutibili nel merito. Qui, in effetti, a destare preoccupazione sono l’approccio, il linguaggio e le modalità con lui le intenzioni della classe politica attualmente dirigente vengono espresse. Quando il dissenso viene delegittimato, quando l’informazione è trattata come un ostacolo, quando il Parlamento viene svuotato del suo ruolo, quando i diritti civili diventano moneta di scambio politica, allora è lecito domandarsi se ci sia chi sta lavorando, più o meno consapevolmente, per erodere le fondamenta della nostra Nazione.
La Repubblica come esercizio quotidiano
Perché, vedete, la Repubblica non è un’astrazione. È fatta di leggi giuste, di istituzioni trasparenti, di una magistratura indipendente, di una stampa libera, di cittadini vigili e consapevoli. È un organismo vivo, e come tale, per quanto possa dispiacerci, corre il rischio di “incancrenirsi”. Ma è proprio per questo che il compito di chi crede nei valori repubblicani NON PUO’ E NON DEVE esaurirsi nel ricordo. Al contrario, ha l’obbligo morale e il dovere civile di rinnovarsi ogni giorno nella vigilanza, nella partecipazione, nella difesa dei diritti, soprattutto di quelli delle minoranze.
Per questo, non è possibile relegare, con eccessiva faciloneria, la “Festa della Repubblica” ad una parata militare o ad un evento cerimoniale. Deve essere un momento di riflessione concreta, un’occasione per chiedersi: la Repubblica di oggi è fedele al progetto dei suoi padri e delle sue madri costituenti? Le istituzioni, le medesime chiamate a servire la popolazione che ne elegge i rappresentanti, stanno lavorando nell’interesse dei cittadini o di una casta minoritaria? Stiamo costruendo una democrazia più forte oppure la stiamo silenziosamente indebolendo?
Il 2 giugno, perciò, diventa un’eredità da costudire, nonché un appello che non possiamo ignorare. È un invito a riconoscere che la libertà e la democrazia non sono mai conquiste definitive. Ogni generazione ha il dovere di riscoprirle, difenderle e, se necessario, RICOSTRUIRLE. In un’epoca in cui l’autoritarismo pare attecchire ovunque e cerca di penetrare nelle fragili mura dei capisaldi della democrazia, il 2 giugno diventa un atto politico. Perché chi ama la Repubblica la custodisce. Chi la custodisce non tace.
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