Arte popolare, elementi distopici, ironia sottile ed irriverenza graffiante sono caratteristiche che, al giorno d’oggi, non è facile riscontrare accostate le une alle altre. O perlomeno, così è nella maggior parte dei casi, a meno che voi non stiate osservando un’opera di un artista come Max Papeschi, che della reinterpretazione in chiave allegorica della cultura popolare e dei grandi drammi storici, “messi in scena” sulla base di un’amalgama visionaria e di forte impatto, ne ha fatto la sua cifra stilistica.
Sebbene possa risultare un po’ fuori dal comune, il suo percorso è impeccabilmente in linea con lo spirito di un’epoca che sembra aver ormai abbattuto ogni tabù socio-culturale e generazionale. Da regista legato a doppio filo con il mondo dello spettacolo, in effetti, sin dal suo debutto artistico avvenuto nel 2008, in piena crisi economica e delle arti, è stato in grado di incarnare alla perfezione un passaggio epocale di non semplice interpretazione, irrompendo (e al tempo stesso imponendosi nella medesima) sulla scena nazionale ed internazionale grazie a lavori che definire sui generis potrebbe apparire riduttivo, dal momento che questi mescolano personaggi pop come Topolino, Paperino o Ronald McDonald a dittatori, guerre nucleari e tragedie umane. Il che, per intenderci, fa dello shock uno dei suoi tratti più distintivi.
Ma non si tratta solo di questo. Anzi, dietro ad ogni suo progetto si cela una profonda ed attenta riflessione sulle contraddizioni della razza umana e coglierla in pieno non è di certo semplice per chiunque. I suoi personaggi, dai Teletubbies impazziti alle scimmie lettrici del Mein Kampf per esempio, rappresentano specchi deformanti della nostra società, dove il ridicolo e il tragico si confondono, diventando pressoché indistinguibili.
Le opere di Max Papeschi come specchio del declino: Extinction – Chapter One

Nel corso degli anni Max Papeschi ha continuamente sfidato il pubblico con prodotti del calibro di Vendere svastiche e vivere felici, il suo primo libro, all’interno del quale racconta se stesso e la propria attività senza troppi filtri né misure, il tutto condito da quella buona dose di pungente ironia che non guasta mai. Eppure, oggi sembra voler innalzare ulteriormente l’asticella, presentando quello che sarà il primo capitolo di una lunga saga non ancora terminata: Extinction – Chapter One.
Presentata in anteprima a Milano e attualmente in esposizione con una mostra a cura di Stefania Morici presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, nel cuore del raffinato VII arrondissement, la collezione racconta l’estinzione dell’umanità attraverso gli occhi di una civiltà aliena che tenta di studiarne il passato, commettendo una serie di errori e false ricostruzioni. I primi due ritrovamenti sono un’imponente armata di terracotta intitolata Zwergen Dämmerung, composta da 54 soldati a grandezza naturale con la testa di gnomo ed il corpo dell’esercito di Xi’an, e Full Metal Karma, una scultura di marmo con il corpo di Buddha e la testa di Napoleone.
Domande a cui dovremmo trovare delle risposte
Un’opera, dunque, che mescola storia, archeologia e fantascienza, in un cortocircuito visivo che smaschera la serietà con cui la nostra specie si rappresenta in un contesto storicamente segnato da guerre e conflitti: aspiriamo alla pace, ma idolatriamo il conflitto come mezzo per ottenerla. L’intento dell’artista, però, è quello di spingersi (e spingerci) ancora oltre. Con una citazione di Karl Kraus, il quale affermava che:
Quando il sole della cultura è basso all’orizzonte, i nani hanno l’aspetto di giganti
Difatti, Papeschi invita lo spettatore a riflettere sul declino culturale della nostra contemporaneità, sulle nostre contraddizioni e sulla nostra tendenza ad idolatrare. I suoi nani, ridicoli e imponenti al tempo stesso, diventano metafora di un mondo che ha perso il senso del limite, del bello e della propria Storia. Nell’ottica di una visione completamente distopica ma non priva di speranza, essi rappresentano i nuovi dèi di una civiltà umana scomparsa, ricostruiti da un’intelligenza allotria che interpreta malamente i resti di quel che rimane di noi. Ciò nonostante, come suggerisce l’artista, la cultura e l’arte, persino nelle loro manifestazioni più surreali, possono costituire una via di salvezza.
Cosa ci definisce come esseri umani? La guerra o il desiderio di pace? L’ambizione o la spiritualità? Sono questi gli interrogativi che Papeschi si pone e ci pone. Pertanto, abbiamo deciso di raggiungerlo telefonicamente e di intervistarlo per voi. Buona lettura!
Max Papeschi – L’intervista
Buongiorno Max e benvenuto tra le pagine de L’Opinione.com. Un passato nel mondo della digital-art, del teatro, del cinema e della televisione in qualità di regista, e oggi artista contemporaneo conosciuto a livello internazionale. In un’intervista risalente a qualche tempo fa raccontasti di aver intrapreso il tuo attuale percorso “per caso”. Quand’è, però, che hai compreso di voler rimanere su questa strada? C’è stato qualcosa che l’arte ti ha dato oppure ti ha permesso di fare in più rispetto a ciò di cui ti occupavi in precedenza?
Per rispondere alla prima domanda, non appena mi sono addentrato in questo campo, forse perché ho compreso sin da subito quanto l’arte fosse priva di censura. Dal 2008 al 2016, infatti, potevo fare quello che volevo senza grandi problemi e principalmente per due motivi. All’inizio, lavorando con prodotti bidimensionali o in digitale, i costi di produzione erano assai inferiori rispetto a quelli necessari per confezionare, ad esempio, un prodotto televisivo, teatrale o cinematografico. Per far partire il lavoro non c’era bisogno né di produttori esecutivi né di finanziatori che lo approvassero, spettava solamente al pubblico giudicare le mie opere.

Poi, il fatto di essere un volto già conosciuto mi ha conferito ancor di più una libertà totale che in altri ambiti, purtroppo, è difficile riscontrare. Sono questi i due aspetti che mi hanno convinto che, con l’arte contemporanea, avrei potuto fare e dire le stesse identiche cose che già facevo, ma con molta più facilità.
Cosa è cambiato dopo il 2016?
Beh, con la diffusione di massa dei social network le cose sono un po’ cambiate. Le piattaforme virtuali sono divenute in pochissimo tempo uno dei mezzi principali per la comunicazione e la diffusione di un’artista, il che potrebbe essere un bene ma anche un male. Gli algoritmi che regolano la diffusione dei contenuti giocano un ruolo fondamentale e spesso le opere che vengono “regalate al pubblico” attraverso questo tipo di canali vanno incontro ad una censura preventiva, che sia per i contenuti in sé o per una mera questione di engagement. Non è colpa di nessuno, per carità, siamo un po’ tutti vittime dei calcoli quando ci muoviamo in determinati spazi, però può creare diversi problemi ad un artista come me che opera molto liberamente.
Sebbene tu ti definisca “un artista per caso”, le tue opere sembrano non aver nulla di casuale. Dalla tua miscellanea di elementi storici, fantascientifici e distopici vien fuori puntualmente qualcosa di molto attuale. Si tratta di accostamenti ragionati o ti lasci guidare dall’ispirazione del momento?
L’ispirazione c’è di certo e ha un peso importante, soprattutto nelle fasi iniziali, ma c’è da dire che, lavorando a progetti e non ad opere singole, realizzo più bozze degli stessi. Le prime sono senza ombra di dubbio frutto di accostamenti istintivi e costrutti inconsci della mente, dettati dall’ispirazione del momento o da un’idea. Tuttavia il prodotto finito, una volta eliminati tutti quegli elementi che ritengo non funzionare in un preciso momento, ciò non vuol dire che io non vada a ripescarli più tardi magari, viene fuori da un percorso sicuramente più ragionato.
Ad esempio, in “Extinction – Chapter One” c’è un Buddha con la testa di Napoleone Bonaparte. A prima vista, potrebbe sembrare una fusione di elementi apparentemente non correlati, tuttavia essi rappresentano il dualismo che intercorre tra “l’illuminazione” nel senso francese del termine, dunque secondo la corrente dell’Illuminismo, e “l’illuminazione” buddhista, che consiste ad un abbandono totale alla ricerca della felicità come unico metodo per conquistarla. Il che, lasciatemelo dire, è a dir poco interessante.
Parlando di “Extinction – Chapter One”, di cosa si tratta?
L’idea iniziale l’ho avuta nel 2020, in piena emergenza pandemica da Covid-19. In quei mesi, quando eravamo tutti in preda all’incertezza di fronte ad un qualcosa di sconosciuto e potenzialmente molto pericoloso per l’intera umanità, ho pensato per un attimo, in maniera più o meno inconscia, all’estinzione della razza umana. Ricordo che camminavo in strade deserte, con file chilometriche alle porte dei supermercati, e che le persone si scansavano non appena incontravano qualcuno per paura del contagio. E così, mi son chiesto: “Ma se la razza umana si estinguesse adesso e venisse riscoperta una domani da una civiltà aliena, in che modo potrebbero ricostruire la nostra storia? Con tutti quei contenuti idioti, mischiati a contenuti reali, tweet insensati, balletti sui social network e chi più ne ha, più ne metta, come potrebbero gli extraterrestri ripercorrere il nostro passato?”.
In quell’anno, poi, una volta terminato il lockdown, mi è capitato di andare a Creta e lì, visitando il Palazzo di Cnosso, mi sono reso conto, studiando i trascorsi del luogo e le fonti, che la sua storia, al pari di quella di moltissime altre civiltà, era stata ricostruita in maniera arbitraria. Un aspetto interessante, che alla fine ho deciso di inserire nel primo capitolo di questa saga e devo ammettere che mi ha permesso di sottolineare i difetti e le mancanze dell’essere umano senza andare a fare la morale. Una sorta di “Lost in Transition”, dunque, tra ciò che gli alieni comprendono di noi e quello che in realtà siamo, con un pizzico di satira che non guasta mai, nella speranza che possiamo essere messi tutti faccia a faccia con i nostri più grandi difetti.
Se messo di fronte ad un specchio, credi davvero che l’uomo sia in grado di cogliere (e magari comprendere) i propri errori e le proprie contraddizioni?
Per fortuna non siamo tutti uguali, di conseguenza ci sarà chi riuscirà a farlo e chi avrà qualche difficoltà in più. La questione principale, però, non è tanto cogliere il problema, ma acquisirne consapevolezza e adoperarsi per trovare una soluzione. Certo, per me è facile evidenziare le mancanze della società contemporanea, ma sedersi a tavolino e cercare di affrontare seriamente le questioni attuali più pressanti è tutt’altra cosa. Sono grato che non sia quello il mio compito! (ride) Viviamo in una realtà piuttosto complessa, ma, a dispetto di questo, sono convinto che il rendersene conto, aspetto che tutto è fuorché scontato, sia già un’importante primo passo.
Il tema principale di “Extinction” è la guerra, perché? E alla luce delle dinamiche più recenti, basti pensare al conflitto in Ucraina o a quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza, perché, secondo te, l’uomo sembra avere una naturale predisposizione al conflitto, persino quando il fine ultimo è quello di stabilire la pace?
Perché, sebbene il progetto iniziale risalga al 2020 come già spiegato, si è concretizzato solamente nel 2022, a ridosso dello scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina. “Extinction”, tra l’altro, non sarebbe dovuto essere il primo capitolo, ne avevo già pronti altri, ma, viste le vicende del periodo, ho ritenuto ci fosse più urgenza di raccontare questo aspetto dell’essere umano, senza andare nello specifico della guerra in atto ancora oggi.

Purtroppo, l’essere belligeranti ed estremamente egoisti è un aspetto intrinseco degli uomini, i cui semi risalgono alla specie di primati dalla quale discendiamo. Sin dai tempi delle tribù, inoltre, l’essere umano è abituato alla disputa e a prevaricare sul “più debole”, pertanto quello a cui assistiamo oggi non è altro che il frutto di ciò che abbiamo seminato ieri. E ti dirò di più, osservando la situazione odierna, è chiaro ed inevitabile il futuro a cui andiamo incontro. Peccato solo, però, che di tutto questo ce ne rendiamo conto quando ormai è troppo tardi!
Tornando all’opera e ponendoci nell’ottica di un mondo in cui le informazioni vengono costantemente filtrate, abbiamo una civiltà aliena che, nel ricostruire il passato umano, commette errori e generare false ricostruzioni. Un aspetto, quest’ultimo, che ci dice molto sul modo in cui l’umanità costruisce e tramanda la propria storia. Quali sono i rischi di interpretazioni distorte?
I rischi sono quotidianamente sotto i nostri occhi. C’è una sovrabbondanza di informazioni, confermate o meno che siano, all’interno della quale non si riesce a districarsi. Persino l’atteggiamento delle persone nei confronti di questo “bagaglio di dati” è cambiato con il passare del tempo. Prima c’erano soltanto i quotidiani e si apprendevano le notizie da lì, adesso la gente si informa su X o su qualsiasi altra piattaforma in cui notizie e fake news si mescolano senza controllo, smentita o conferma. Se in passato la realtà dei fatti, la verità, o comunque, la narrazione ufficiale era una, al giorno d’oggi esistono più realtà e molteplici narrazioni a causa delle quali diventa estremamente difficoltoso, per non dire impossibile, distinguere il vero dal falso.
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