“Mia moglie”, chiuso il gruppo Facebook: quando privacy e abuso diventano merce da barattare

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Mia moglie

Il gruppo Facebook tristemente noto “Mia moglie”, costituito da più di 32mila utenti provenienti da tutta Italia e attivo pubblicamente dal 2019, è finito al centro dello scandalo in quanto, stando alle rivelazioni dei media, sarebbe stato utilizzato per la condivisione di foto ritraenti mogli, fidanzate e amiche ad insaputa delle dirette interessate da parte di mariti, compagni e amici, al solo scopo di commentarle e diffonderle nel web, lasciandole alla mercé degli internauti più depravati.

Il caso di “Mia moglie”: come l’avrebbero presa gli uomini?

Scatti rubati, donne di ogni età colte in costume da bagno, in intimo, o in momenti decisamente più riservati. Se alcuni di questi “uomini” hanno avuto la buona creanza di censurare il volto delle vittime, altri non hanno neppure contemplato di stare violando la privacy di un altro essere umano, postando senza scrupoli foto dove si distingueva chiaramente l’identità della donna. Una grave violazione, nonché una forma silenziosa di abuso e violenza che va necessariamente combattuta.

Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi o sfruttamenti sulle nostre piattaforme. Se veniamo a conoscenza di contenuti che incitano o sostengono lo stupro possiamo disabilitare i gruppi e gli accounts che li pubblicano, e condividere queste informazioni con le forze dell’ordine“, ha rassicurato il portavoce di Meta.

Tra like e crimine

Oltre mille le denunce alla polizia postale nelle ultime settimane e in seguito a queste segnalazioni il gruppo è stato prontamente disabilitato. Presto, inoltre, verranno consultate alcune delle donne coinvolte. Insomma, dopo ben 6 anni, giustizia è finalmente fatta, ma ne siamo davvero sicuri? Perché, secondo alcune fonti, pare che il canale abbia riaperto su piattaforme quali Telegram e WhatsApp, rendendosi, dunque, decisamente più difficile da rintracciare.

Per di più, come se non fosse già abbastanza, non è stata considerata l’esistenza di altri gruppi simili, e che ancora non sono stati segnalati. Ad esempio, dati alla mano, nel 2021 ammontava a circa 190 il numero di gruppi dedicati alla condivisione di materiale non consensuale in rete. Quasi 9 milioni di utenti, 1 italiano su 6. E sapete questo cosa vuol dire? Non tutti gli uomini, ma il 30% sì. Della serie, come diceva sempre Karl Marx:

Il grado di civiltà di una società si misura dal rispetto che essa ha per le sue donne

Tra riservatezza e indiscrezione: i social non aiutano

Con l’avvento di internet ci siamo dimenticati qual è il sottile confine tra riservatezza e indiscrezione segnato dalla privacy, e lo schermo ci legittima a violarla facendoci dimenticare addirittura che si tratti di un reato. Indubbiamente, questi uomini col social si sono sentiti giustificati a fare ed affermare cose che nella realtà si vergognerebbero solamente a pensare. Ma questa a parer mio non è che la punta dell’iceberg.

Oggi più che mai, è necessario un intervento di carattere culturale nel nostro Paese, a partire dall’educazione sessuale ed affettiva nelle scuole, giacché ormai sembra normale oggettificare la donna, più di quanto non si faceva già 50 anni fa. Mi piacerebbe tanto chiedere a questi “uomini” come si sarebbero sentiti al posto delle loro vittime, violati e privati prima di ogni altra cosa della loro dignità di persone. Spero davvero che questo scritto arrivi al maggior numero di persone possibile, perché il primo antidoto a tutto ciò è la consapevolezza.

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Classe 2007, è la più giovane voce qui su L’Opinione. È una studentessa di liceo linguistico con una devozione sfrenata per la letteratura, il cinema, lo spettacolo, la musica e i viaggi che da sempre la accompagna. Nerd incurabile, la rapisce tutto ciò che fa parte del mondo geek e della cultura pop. Il suo tallone d’Achille è la matematica, disciplina che le è assolutamente indigesta. Ama tanto la compagnia degli altri quanto quella di se stessa, e intende proseguire gli studi per poter un giorno di intraprendere una carriera nell’editoria e nel giornalismo.

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