Il 24 novembre del 1859 Charles Darwin pubblicò L’Origine delle Specie, un’opera brillante e ampiamente dibattuta, capace di rivoluzionare non solo la biologia, ma anche (e soprattutto) l’intera visione dell’essere umano, infrangendo certezze millenarie e scomodando un tema, articolato tra scienza, filosofia e religione, di cui si parla ancora oggi. Tra le sue pagine, infatti, il naturalista britannico dimostrò come tutte le forme di vita evolvano nel tempo per ‘selezione naturale‘, spiegando scientificamente la diversità e l’adattamento degli organismi sulla Terra. Ma se fosse ancora vivo, cosa potrebbe mai pensare di ciò che siamo diventati? Sosterrebbe ancora le sue stesse teorie?
Chissà. Quel che è certo è che se Darwin vivesse, si ritroverebbe davanti un’umanità radicalmente diversa da quella che osservò nel XIX secolo. Non saremo cambiati biologicamente, questo è poco ma sicuro, o perlomeno, non lo abbiamo fatto abbastanza da impressionare un naturalista abituato a ragionare in ere geologiche. Ciò nonostante, il mondo che abitiamo è mutato con una velocità tale che metterebbe in crisi qualsiasi capacità di adattamento. E forse è proprio per questo che viene da chiedersi se l’invito, che ci rivolgeva 166 anni fa, di guardare alla vita come ad un processo dinamico, secondo cui nessuna specie è mai ferma, nessun ecosistema è eterno e nessuna condizione è garantita, possa essere tutt’ora valido oppure no.
La sopravvivenza e l’adattamento, di cui Charles Darwin parlava, sono ancora possibili?
Non è la specie più forte a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento
Così recita una frase spesso attribuita a lui e che, qualora non dovesse neppure appartenergli, racchiude in sé alla perfezione il fulcro della sua intuizione. Darwin ci ha insegnato che l’evoluzione non è qualcosa di stabilito. Anzi, essa è trasformazione, tensione, risposta ATTIVA ad un ambiente che si trasforma, muore e si rigenera seguendo un ciclo che appare eterno. Nel 2025, però, è ancora possibile? Ci siamo davvero adattati? O più semplicemente, siamo il frutto PASSIVO di un mondo che è cambiato troppo in fretta?

D’altronde, viviamo in una realtà soggetta in continuazione a repentine trasformazioni, talmente veloci da non lasciarci neanche il tempo di comprenderle o metabolizzarle. Basti pensare alla rivoluzione digitale, all’avvento dell’Intelligenza Artificiale, alla crisi climatica, alle guerre ibride su scala mondiale (o quasi), alla fragilità dei sistemi democratici di cui l’Occidente attuale sembra essere un chiaro esempio. Insomma, una serie di notevoli cambiamenti che risultano piuttosto complessi da incasellare in una visione complessiva d’insieme.
La società contemporanea, in effetti, pare attraversare una contraddizione profonda. Perché? Ebbene, perché se da un lato abbiamo superato molte delle incertezze scientifiche che ostacolarono Darwin all’epoca, dall’altro, invece, diamo l’impressione non troppo velata di essere più che restii ad accettare ciò che la sua teoria ci dice su noi stessi. Contrariamente a quello che ci piace pensare, l’essere umano non è al centro immobile del mondo, ma è parte di un sistema ben più complesso, interdipendente, vulnerabile. Perciò, che cosa significa “evolvere” adesso?
Tra modernità, rapporto con il pianeta e tecnologia
Del resto, abbiamo alterato gli ecosistemi fino a minacciare la sopravvivenza di milioni di specie, inclusa la nostra, generando un paradosso evolutivo per il quale quella che dovrebbe essere, alla luce della teoria darwiniana, la specie più ‘intelligente’ sta compromettendo l’habitat da cui dipende. Per non parlare del fatto che se fino a poco tempo fa ci consideravamo soltanto come membri della più recente generazione di Homo sapiens sapiens, ora potremmo tranquillamente ritenerci come degli Homo Data, animali che delegano decisioni, memoria e perfino identità agli algoritmi. Chi è che si evolve, dunque? Noi o è la tecnologia a farlo al posto nostro?

Per di più, nel 1859 lottavamo per sopravvivere, mentre oggigiorno lottiamo per emergere, competere, accumulare. Eppure, la selezione naturale non premia i più ricchi o i più veloci, ma i più adatti. E allora,
stiamo costruendo una società che favorisce l’adattamento o una che moltiplica fragilità? Non è facile trovare una risposta esaustiva a questa serie di domande. Probabilmente, Darwin ci ricorderebbe che l’evoluzione non è progresso morale, non è miglioramento garantito. Ci ripeterebbe che essa è semplicemente la storia di chi riesce a trovare un equilibrio con l’ambiente, invitandoci, tra l’altro, a fare ciò che ci riesce peggio: osservare e comprendere che nessuna specie ha un privilegio sulla Terra. Tantomeno la nostra!
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