Era il 3 marzo 1923 quando uscì la prima copertina della rivista TIME, un evento che segnò l’inizio di una nuova era per il giornalismo moderno. Introducendo un formato che avrebbe influenzato profondamente il modo in cui il pubblico percepisce le notizie e i personaggi di spicco, infatti, segnò un punto di svolta nella narrazione dell’attualità, tant’è che ancora oggi la celebre testata è simbolo di autorevolezza e prestigio, capace di immortalare momenti storici e figure influenti. Qualità, quest’ultime, che l’attuale Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ben pensato di far proprie scatenando numerose polemiche.
Un atteggiamento, per chi ha imparato a conoscerlo già nel corso della sua precedente amministrazione, che non dovrebbe destare alcun scalpore. Eppure, come diceva anche Jean de La Fontaine, a proposito di attribuirsi caratteristiche che non si possiedono:
Tutti i bugiardi possono dare la loro parola d’onore
Donald Trump si autoincorona Re?
Affianco alla controversa decisione di revocare il piano di tariffazione della congestione a New York City, difatti, Trump sembra aver deciso di alzare ancor di più la posta in gioco sul tavolo delle critiche con un gesto che ha sollevato allarme ben oltre il dibattito sulle politiche urbane. In particolare, lo scorso 19 febbraio 2025, la Casa Bianca ha condiviso su X un post del 47esimo occupante dello studio ovale raffigurato sulla copertina (opportunamente alterata per mezzo dell’IA) del TIME Magazine, con una corona sulla testa e la scritta: “Long Live The King“.
La risposta della governatrice di New York, Kathy Hochul, non si è fatta attendere e, durante una conferenza stampa, ha respinto con forza l’immagine di un re. “Dopo 250 anni sotto una monarchia, non accetteremo mai una dichiarazione del genere“, ha dichiarato. “Siamo sicuri come l’inferno che non inizieremo ora. Nel caso in cui non conosciate i newyorkesi, combatteremo. Non ci tiriamo indietro, non ora, non mai“.
Anche il consigliere comunale Justin Brannan ha espresso preoccupazione, sottolineando come lo Stato di New York avesse deciso la tariffazione, evidenziando così il rischio di una violazione del principio di autonomia statale sancito dalla Costituzione.
La concezione del potere negli USA
Al di là della questione specifica della tariffazione urbana, il vero nodo critico riguarda la concezione stessa del potere negli Stati Uniti. L’uso di una retorica monarchica da parte di un Presidente in carica non è solo una provocazione, ma un segnale per il sistema democratico. In una federazione, la separazione delle competenze tra governo centrale e stati membri è un principio fondante, e qualsiasi tentativo di sovvertirlo rappresenta un rischio per la tenuta istituzionale.
Se l’episodio di New York ha destato preoccupazione sul piano politico, un altro evento recente ha suscitato indignazione su scala internazionale. Pochi giorni dopo, compare online un video musicale, anch’esso generato tramite Intelligenza Artificiale, che ritrae una gigantesca statua dorata di Trump a Gaza trasformata in un resort di lusso, dove Trump, Benjamin Netanyahu ed Elon Musk sorseggiano cocktail, ballano con donne, si godono il lusso nella cosiddetta (e ormai tristemente nota) “Gaza riviera”!
Il video, ampiamente sommerso dalle critiche, arriva in un contesto in cui oltre 35.000 palestinesi sono stati morti sotto i bombardamenti israeliani. La rappresentazione di una zona di guerra come un paradiso turistico non è solo una provocazione, ma una riscrittura grottesca della realtà, che alimenta una narrazione distaccata dal dramma umano in corso.
Democrazia e responsabilità: un punto di non ritorno?
Questi episodi, seppur diversi per natura, delineano un quadro chiaro: un presidente che si autoproclama “re”, che ignora i principi del federalismo e che scherza su una crisi umanitaria in corso sta mettendo alla prova i limiti della democrazia americana.
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