Paolo Mendico, il 14enne di Latina spinto al suicidio: dov’erano le istituzioni quando il ragazzo e la sua famiglia chiedevano aiuto?

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Eccoci qui che ci risiamo, l’ennesimo caso che vede al centro un ragazzino finito in tragedia, questa volta in provincia di Latina. La storia, purtroppo, è sempre la stessa e le dinamiche non sono di certo da meno. L’unica differenza, forse, è rappresentata dal nome e dall’età di questo piccolo angelo al quale la vita ha riservato troppe ingiustizie, troppo presto: si chiamava Paolo Mendico e aveva soltanto 14 anni questo ragazzo che, lo scorso 11 settembre, ha deciso di togliersi la vita poco prima dell’inizio della scuola a Santi Cosma e Damiano, nel capoluogo pontino. Ma perché?

Stando alle ricostruzioni, il giovane subiva da anni episodi di bullismo da parte dei compagni e, secondo la famiglia, persino dai docenti. I genitori avevano denunciato ripetutamente quanto accadeva, ma senza ottenere interventi efficaci. La Procura di Cassino ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio e gli investigatori hanno sequestrato telefoni del ragazzo e di alcuni coetanei, mentre la dirigente scolastica è stata ascoltata. Il fratello di Paolo ha scritto una lettera alla premier Giorgia Meloni, e il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha disposto due ispezioni nelle scuole frequentate dal giovane. La madre ha raccontato le sofferenze vissute dal figlio, tra soprannomi offensivi, minacce e derisioni legate al suo aspetto e alle abitudini personali, sottolineando come le denunce presentate fin dalla quinta elementare fossero rimaste in gran parte inascoltate.

La sofferenza di Paolo Mendico

I bulli lo chiamavano Nino D’Angelo o Paoletta per via del suo caschetto biondo (gli piaceva portare i capelli lunghi), insulti e prese in giro che hanno avuto come risultato il peggiore: Paolo si è suicidato nella sua cameretta un giorno prima della ripresa delle lezioni a scuola. E come se non fosse già abbastanza, al funerale nessuna famiglia dei compagni di scuola a scelto di presenziare, nessuno ad eccezione di un alunno, forse il suo unico vero amico. Vergogna!

I figli son di tutti, anche se non sono nati dal nostro DNA o dalla nostra pancia, ed è di tutti noi la responsabilità di questo ennesimo suicidio. Dove eravamo, dov’erano i docenti e gli altri alunni, e cosa stavano facendo le istituzioni, o le autorità a cui a più riprese si era rivolto, mentre questo ragazzo chiedeva aiuto? Certo, è comodo adesso affermare che nessuno di loro era a conoscenza di ciò che accadeva, eppure il padre e la madre avevano protestato e manifestato il disagio del ragazzo in più di un’occasione. E pensare che per sfuggire ai quei commenti spregevoli Paolo si era addirittura tagliato i capelli, il tutto mentre i bulli continuavano a spezzargli le matite in classe o a tormentarlo nei bagni secondo quel che hanno riferito i familiari al Miur.

Il mondo è un posto pericoloso, non per quelli che fanno del male, ma per quelli che guardano senza fare nulla — Albert Einstein

Persino l’artista Nino D’Angelo, attraverso i suoi canali social ufficiali, si è espresso in merito, chiedendo scusa a Paolo: “Scusami se ti hanno dato il mio nome”. Un segno di vicinanza, sicuramente, ma che arriva quando ormai è troppo tardi.

Le norme legislative in materia di bullismo

La cosa che stupisce e lascia ancor di più interdetti è che la legge contro il bullismo e il cyber bullismo prevede l’obbligo da parte dei dirigenti scolastici di informare i genitori dei minori coinvolti e applicare le procedure promuovendo iniziative di carattere educativo. Cos’è, dunque, che non ha funzionato? Perché il Dirigente scolastico in questione non ha fatto nulla a riguardo? Un deplorevole fallimento collettivo che getta ombra sull’intera società.

Voltarsi altrove e fingere di non vedere (o peggio, non voler vedere affatto!) è senza ombra di dubbio più facile ma meno responsabile, il che, in una società governata dai social, dai videogiochi, dalla diseducazione sentimentale e familiare, dall’egoismo, della minimizzazione di alcuni fenomeni da parte degli adulti, rende l’accaduto ancor più grave e preoccupante. Non dovrebbe essere il compito di ciascuno di noi quello di ascoltare i segnali di aiuto e di (ri-)educare i nostri figli?

I ragazzi, oggi, vivono in un mondo fatto di dipendenze, mode lesive, scarso rispetto di regole e sono necessarie consapevolezza e presa di coscienza. Viviamo in una costante alienazione sociale che ha portato alla lacerazione di quei valori sociali che, in passato, hanno permesso alla realtà odierna di potersi sviluppare. Un effetto a catena che da impulso ad una minore disponibilità verso il prossimo e ad un serio deterioramento dei rapporti interpersonali favorendo l’autodeterminazione su ogni livello anche a costo della vita di chi ci sta intorno.

Un ragazzo come tanti

In fondo, Paolo era un ragazzo come tanti. Aveva i capelli lunghi biondi e amava la musica, motivazioni, all’apparenza ininfluenti, ma per le quali era considerato da tutti “diverso”. Ma cos’è la diversità se non la caratteristica, che chiunque dovrebbe rispettare e che ci rende unici rispetto agli altri? Portare i capelli come si vuole e avere le proprie passioni restano alcuni tra i nostri diritti, diritti tra i quali indubbiamente non figurano quello di umiliare il prossimo o torturare psicologicamente chi è più sensibile di noi, ma non più debole.

Perché, diciamoci la verità, i veri deboli, cari bulli, siete proprio voi, insieme alle vostre famiglie, le medesime che hanno deliberatamente scelto di nascondere la polvere sotto al tappeto, agli insegnanti e a tutti coloro che si sono voltati dall’altra parte. Ma deboli, forse, lo siamo un po’ tutti perché siamo ancora incapaci di cambiare una società che diventa ogni giorno sempre più disumana.

Le parole di Vincenzo De Feo

In merito alla vicenda, si è espresso anche Vincenzo De Feo, Presidente dell’associazione “Mai più solo”, che nel corso degli anni si è dedicato ad un’attività di sensibilizzazione, in collaborazione con scuole e istituzioni, in materia di bullismo, affermando che:

“La criticità più grande è che i genitori spesso credono che, non parlandone, forse i problemi rientrino da soli, ma non va cosi; quando si affrontano queste tematiche, la reazione è che il proprio figlio è sempre il migliore, i problemi sono dei figli altrui! Bisogna avere l’umiltà di parlare, tralasciare omertà o vergogna-se no i problemi diventano grandi seminando vittime-non avere timore di mettersi in gioco, in famiglia, con i professori, tra genitori. Il rispetto per gli altri è il pilastro alla base. I genitori devono capire che se i loro figli non sono sempre i migliori va bene lo stesso e devono accompagnarli nel percorso di crescita senza pretendere di essere comunque i primi”.

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Giornalista, Blogger, Autrice SIAE, Ufficio Stampa, esperta di cultura e comunicazione, con oltre 20 anni di esperienza nel settore della carta stampata, del web, della radio e della tv. Founder di Studio Lovatelli, è autrice di un docufilm, ha diretto e dirige alcuni magazine online. Rappresentante di Interessi Camera Deputati ed è socio fondatore dell’Associazione Mai Più Solo ODV ETS

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